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venerdì 22 marzo 2013

Salve, sono un'alcolista e non bevo da otto anni



Sono rimasta colpita per il gran numero di mail ricevute dopo aver postato la mia storia di alcolista.
Di norma preferisco che siano i miei personaggi a raccontare i propri orrori interiori, ma so anche che un racconto – testimonianza fa un altro effetto: allora è vero, allora se ne può uscire!, è stata la risposta di molti.
È di oggi la notizia di una tredicenne finita in coma etilico e in pericolo di vita: non posso fingere che il problema non mi riguardi più.

Non sono un medico e non sono mai stata a una riunione degli Alcolisti Anonimi, ma so che ho cercato di smettere da subito, fin da quando ancora ragazzina rubavo il vino dalla damigiana che poi annacquavo perché mia madre non si accorgesse del mio problema.
Sono sempre stata brava a dissimulare la sbronza, la vita itinerante da attrice mi ha poi consentito di unirmi a compagnie che bevevano quanto e più di me e di dimenticare il problema.
Quando ho capito di aver toccato il fondo avevo una sola via d’uscita: smettere. Mi sono detta che se non ce l’avessi fatta quella sera ci avrei riprovato il giorno dopo e ancora l’altro, e così è stato finché ho smesso.
Bisogna ammettere di essere alcolisti per primi a se stessi, e senza vergogna, poi alla famiglia e agli amici.
L’alcolismo non è un vizio, è una malattia.
In tanti mi hanno domandato se un giorno sarà possibile bere qualcosa, così per festeggiare l’ultimo dell’anno o che so, un’importante ricorrenza. Io, come tanti esperti, credo proprio di no, siamo nati alcolisti non bevitori occasionali. Bere, ci piace da morire. Anche adesso, e dopo otto anni, se vedo una birra gelata, mi prende una gran voglia di buttarla giù di un fiato: eppure resisto anche nei Pub londinesi.
No, non si può bere occasionalmente, credo anzi che sia fondamentale continuare a dichiararsi alcolisti e farlo pubblicamente. Non ci si deve vergognare di una debolezza e si possono aiutare gli altri testimoniando la propria vittoria sulla dipendenza; anche il vecchio zio che da lì, dal fondo tavolata pasquale, ci ha guardato con invidia rifiutare più di un maledetto bicchiere.

Si chiama “circolo vizioso” il cerchio che il fondo del bicchiere disegna sul bancone del bar e che, normalmente, noi alcolisti ci ritroviamo a guardare moltiplicarsi, per quel vezzo di poggiarlo e riportarlo alla bocca di continuo e per la voglia che ci prende, dopo il secondo bicchiere, di ordinarne un terzo, un quarto e così via.
Mi hanno insegnato che l’alcolismo è un fondo da non toccare, ma soltanto adesso che sono sobria so quanto sia intollerabile vedere qualcuno che barcolla e straparla, e riconosco, in tutta quella confusione, l’inutile tentativo di superare una sofferenza attuale o un antico dolore.
Io sono arrivata a quella confusione e anche oltre. Come chiunque beva ho fatto e detto cose di cui, ancora oggi e dopo anni, mi vergogno.
Perché il “circolo vizioso” non è che senso di colpa.
Chi non beve non conosce la vergogna che si prova al ricordo di certe nottate. Parenti che accorrono alla festa dove l’alcolista balla nuda sui tavoli, mariti che si consolano nell’altra stanza con una qualunque mentre la signora è impegnata a svuotare bicchieri altrui lasciati qua e là sul mobilio di casa, figli che preferiscono fare un giro on line pur di non sentire la solita barzelletta biascicata per la centesima volta.
Si chiama vergogna quella che il giorno dopo, spinge l’alcolista a entrare di nuovo nel bar.


Perché da effetto il bere diventa l’unica causa dei nostri problemi.
Beviamo per sanare insicurezze, tamponare dolori, rimarginare ferite poi, però, dimentichiamo il perché abbiamo iniziato, e quando per caso ci guardiamo in una vetrina senza riconoscere il nostro corpo ormai trasfigurato, l’alcol occupa già tutta la nostra esistenza.
Ci sono i bevitori del fine settimana, che contano i giorni e lasciano che il tempo passi il più rapidamente possibile affinché arrivi il venerdì assieme a una scusa plausibile. Ci sono gli alcolisti serali, che fanno lo stesso con la propria giornata dimenticando tutto, tralasciando gran parte dei propri doveri, distratti dall’ansia di arrivare all’aperitivo e dissetarsi con roba forte. Ci sono le casalinghe, che bevono già dal mattino, ben protette dalle mura domestiche e in fuga dalla frustrazione che le insegue dal giorno delle nozze.
Quando si sta nel mezzo del circolo vizioso non si riesce più a vedere la bellezza che c’è al di là di esso.
Guardando il mondo girare attorno alla disistima di sé non si può vedere oltre il muro di vergogna che da soli abbiamo innalzato: per i capelli tagliati a zero una sera di qualche giorno fa, per lo schiaffo dato in un moto di gelosia del tutto irrazionale, per quella strada a senso unico presa alla massima velocità e per il verso sbagliato.

Tutta l’esistenza viene organizzata in funzione della bottiglia.
Si decide di andare a cena da amici se sono generosi nelle mescite e se no, ci si porta dietro una buona dose con la scusa dell’occasione speciale. Anche le amicizie sono asservite al dio Bumba.
Bere in compagnia è meglio, restare sino alle sei del mattino a raccontarsi cazzate e solo per quel goccio in più è più piacevole che restarsene ipnotizzati davanti a Ghezzi e film in giapponese e senza sottotitoli. A un certo punto si diventa dei veri esperti in “cose mai viste”.
Perfino lo specchio diventa clemente: anche lui si ubriaca delle nostre scuse banali, delle giustificazioni e dei buoni propositi, anche lui vede nel gonfiore un che di positivo.

Anche la famiglia non vede, e se vede partecipa di buon grado alla recita: è Natale, la ragazza l’ha lasciato, il lavoro non si trova. Ci sono troppe buone scuse per non vedere il dramma. Ci sono mille motivi per rimuovere.
Il nostro tempo è scandito dai sorsi, la pendola dell’alcolista si muove assieme all’ossessione di bere, e una volta col bicchiere in mano, si ferma.
Perché lì al bancone del bar diventiamo tutti giganti.
Improvvisamente tutto è chiaro e lampante, la nostra debolezza e il lerciume sono da addebitare solo all’altro: a quella stronza che ci ha lasciato, al Natale di merda, ai raccomandati che ci rubano il posto di lavoro. Tutto si aggiusta quando si sta seduti in vineria con il gomito appoggiato al bancone, ma il giorno dopo la vita tornerà a metterci davanti allo specchio e ci domanderà di mostrargli la lingua.
Quando lo feci io, quel mattino di otto anni fa, mi dissi che se non avessi smesso sarei morta prestissimo. Di alcol si muore e di alcol si uccide.

14 commenti:

  1. Ho smesso il 31 dicembre 1993. Scelta obbligata perche', d'un tratto, ho realizzato che non era piu' occasione di festa, il bicchiere e bottiglia sul pianoforte che per anni mi hanno accompagnato ai concerti, alle Jam sessions: io bevevo da solo. Ed ho avuto paura. Davvero.
    Mai e poi mai avro' l'indole del bevitore occasionale: ti diro', tendenzialmente mal sopporto i moderati, quelli che fanno tutto ma solo un po', con quell'andazzo da virtuosi di merda che poi magari scopri essere, come ben descrivi in altri post, segaioli informatici piuttosto che perversi malati e frustrati.
    O tutto o niente. Ho scelto niente.
    Tieni duro perche' sei al giro di boa: e' un bastardo Jhon Barleycorn, quando pensi di averlo sconfitto lui torna.

    Buon weekend
    Thomas

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  2. Thomas sono felice per te. io ho fatto l'attrice per anni e poi l'imprenditrice in ambito musicale: locali ogni sera. sai quando ho smesso di bere? quando sono fallita. Non so dove hai letto che questo è il giro di boa, ma io non ho nessuna intenzione di riprendere anche perché in 8 anni le cose cambiano e lo sport è una droga più dell'alcol. :D Grazie ancora per la testimonianza.

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  3. uno scritto colmo di realtà e non dei soliti luoghi comuni e frasi fatte..
    complimenti e buona vita.

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  4. cinquantanni,due mogli,due figlie e una cirrosi appena iniziata,ex tossico,ex alcolista ex fatalista.Lo specchio spietato ha salvato anche me,mi sono teso una mano e tirato fuori dal buio.ora devo solo andare vanti senza paura.Grazie delle tue parole,mi fanno sentire meno solo.

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  5. Ciao, vorrei rimanere anonimo perchè anche io gestisco un blog. Vorrei chiamarmi Max per voi. Si può curare qualunque tipo di dipendenza? Tipo sesso, cocacola e cioccolata? Se si mi spiegate come? (Magari se la terapia funziona esco allo scoperto).

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  6. Ciao Max, sono io che gestisco il blog, e questa è la mia esperienza personale. esistono terapeuti per ogni tipo di dipendenza, basta ammetterlo e farsi curare. Per la dipendenza dal sesso che poi è quella dal porno, basta levare la connessione a Internet... ;)) comunque prova da un bravo terapeuta. Ciao e buona fortuna.

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  7. Ciao Dani, ringrazio te e gli altri lettori anonimi: raccontare la propria esperienza è il solo modo per far sì che altri facciano lo stesso. Non vergognarsi di essere alcolisti è il solo modo per spezzare la catena della dipendenza. Grazie a voi anch'io mi sento meno sola. Elena

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  8. ciao!
    sono arrivato su questa pagina poco fa da Twitter e mi ha incuriosito: mi interessa molto leggere storie sulle dipendenze.
    Io non ho una droga "d'elezione"... e le ho tutte. Mi è successo di bere fino a svenire, di mangiare dolci fin quasi a vomitare, di masturbarmi fino a rendermelo gonfio come una pagnotta... alla fine ho capito che la droga d'elezione sono io.
    Mi definisco "filo-buddista" perché non ho la forza di aderire al 100% a quello stile di vita ma cerco di ispirarmi a quella filosofia illuminata nei miei rapporti con gli altri e, soprattutto, per analizzare me stesso. Conosco i miei problemi ma il fatto che non abbia coraggio di spezzare la mia routine, mescolando a questo lo stato d'animo del momento e l'ambiente in cui mi trovo, spesso mi fa cadere in questi vizi estemporanei; poi finisce che mi vergogno, sto male con me stesso e passo qualche settimana (o mese) di sobrietà (non totale).
    Ho la fortuna di provare disgusto per tutti i superalcolici e quelli dal sapore più dolce mi nauseano al secondo bicchiere, la birra mi crea un senso di malessere e il vino mi crea subito sonnolenza, quindi sono "salvo" dalla sostanza che, secondo me, è la più distruttiva di tutte, anche le più proibite, ma, alla fine, la distruzione può essere anche incompleta, lenta e logorante e, se non ci si sveglia, ci si ritrova isolati dal mondo, incatenati al proprio ego.

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  9. Magari il tuo problema è proprio che sei filo buddhista e appartieni magari a una di quelle sette in cui ti fanno ripetere il mantra: che così guarisci miracolosamente. No, il Buddhismo è un percorso, la buddhità si raggiunge non si "ottiene". Il Buddhismo è la Via ardua, non andare al kaikan a incontrare belle fighe. Prova a seguire qualcuno più ortodosso e meno pubblicizzato. ;) ci sono sette che ammalano anziché guarire. Detto ciò è l'infelicità che ci rende dipendenti dal web, dalla fica e dal cazzo. ma l'alcol fa veramente troppi danni: meglio una bella canna che ti evita di sentirti superman e di guidare l'auto... credo... Grazie Alessio, per avermi letta e commentata. e se vuoi indicazioni sulla scuola Tendai... sono qui.

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    1. Grazie, ma non aderisco ad alcuna setta e non ho intenzione di farlo. Credo che aderire ad una corrente di pensiero o religiosa non sia tanto diverso dal drogarsi: si cerca di dimenticarsi di sé stessi, focalizzandosi su qualcos'altro... a volte perfino la sobrietà radicale a cui ti spingono è essa stessa una droga. Una volta lessi una frase che tuttora mi ispira: vivi sulla base di principi ed avrai la strada spianata verso l'infelicità.
      Mi sono documentato parecchio sul buddismo ma, nonostante la sua storia millenaria, centinaia di milioni di praticanti, in buona sostanza si riduce alle 4 verità fondamentali e tutto quello che è stato aggiunto dopo è solo un contorno, spesso innocuo, a volte dannoso (già adorare una statua del Buddha dovrebbe essere un controsenso, per un buddista).
      Io mi limito a non fare del male agli altri, ad avere pensieri positivi, compiere azioni positive e dire parole positive... purtroppo questo riesco ad applicarlo solo agli altri quando dentro di me ho invece una continua battaglia che mi logora.
      Un abbraccio.

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  10. No: la mia è una scuola filosofica. ma non è importante.

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  11. Ciao a tutti, voglio cominciare a salvare me stesso e quello che di bello fa parte della mia vita da
    Quella bestia che si chiama alcool

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  12. bellissima testimonianza, trovata per caso girovagando su internet. "...ma soltanto adesso che sono sobria so quanto sia intollerabile vedere qualcuno che barcolla e straparla..."

    Quel qualcuno sono stato anch'io.

    Grazie e passo

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  13. Ciao Elena,

    ho trovato per caso il tuo scritto cercando, appunto, storie di ex alcolisti e ci ho trovato un filo di speranza.

    No, non sono io ad avere il problema, o meglio, si, ce l'ho anche io ma dall'altra parte, ho subito i danni dell'alcool da compagno di un'alcolista ignara o, di nuovo, meglio, di un'alcolista consapevole ma ignora allo stesso tempo.

    Purtroppo ho capito solo quando ho deciso, con gran dolore, mettere un punto a quella relazione che l'alcolismo non e' un vizio ma una malattia e che ogni tentativo di arginarlo si tramuta in incentivo, ogni discussione, ogni promessa, ogni intenzione... non fanno che accrescere l'astio dell'alcolista nei confronti della persona che cerca di limitarla.

    Tardi ho capito che il malato si rifugia nel bicchiere per lenire dolori, sentirsi meglio accettato, più disinibito, meno brutto... ma ancor più tardi ho capito che per volere il bene di un malato di alcolismo lo si deve lasciare al proprio destino e, ahimè, augurarsi che tocchi il fondo quanto prima possibile; troppo tardi ho deciso di troncare, averlo fatto prima a quest'ora soffrirei di meno e, forse, l'altra persona avrebbe raggiunto fondo e consapevolezza tali da voler risalire.

    Troppo tardi ho fatto atto di umiltà e sono andato a conoscere i gruppi dei famigliari degli alcolisti, costoro mi hanno fatto vedere la malattia attraverso i sintomi che ho subito, troppo tardi ho capito che non ero io il colpevole ma un buon capro espiatorio per giustificare l'irrefrenabile voglia di andare oltre il secondo, terzo, quarto... bicchiere.

    Ma non troppo tardi ho capito che la speranza e' l'ultima a morire anche in questo caso, pensavo, per una delle prime volte in vita mia, di essermi trovato di fronte a qualcosa di più grosso di me, un ostacolo insormontabile di fronte al quale tornare indietro o cercare di aggirare guardando oltre ma gli amici dei famigliari degli alcolisti mi hanno fatto capire che prima di tutto devo guarire delle ferite inflittemi dal malato, poi avere una mente aperta e la mano tesa.

    Credevo che per me il treno fosse ormai andato ma, ancora, gli amici di Al-Anon mi dicono di non mollare, di rimanere in questo mondo per capire e per poter offrire aiuto, mi hanno fatto capire che sono stato il bersaglio di insulti, molestie e minacce proprio perché ero la persona che dava affidamento e che devo solo aspettare che stabilisca il nuovo record di discesa per poi porgere la mano con un bagaglio di conoscenza ed una mente aperta.

    Elena, che bel nome, due delle donne più importanti della mia vita si chiamano Elena, sono le testimonianze come le tue che mi donano speranza e che mi alleggeriscono l'animo da gravi che non mi appartengono, grazie per esserti esposta e per aver squarciato con un raggio di luce le tenebre dalle quali sto cercando di uscire.

    Con stima

    G

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