A vedervi da qui sembrate così saggi che ci si domanda
perché tanto livore. E perdonatemi se per una volta me ne tiro fuori, mi tiro fuori dal mucchio come non faccio mai, lasciando stare la seconda persona plurale.
Ma a leggervi ogni giorno ci si chiede anche quando e se dormiate,
e dove sono, dove li avete nascosti, soprattutto, i figli meravigliosi che, sui
vostri perfetti post, esaltate.
Dove i mariti, dove le madri, dove sta la sacra famiglia, di
cui però sui social vi prendete gioco in continuazione e che usate per fare
battute, ma che sicuramente vi passa i denari per fare la spesa.
Dove si trovano, dove avete nascosto i profondi interessi di
cui parlate, se vi leggo ogni giorno sempre uguali, identici a voi stessi, come
ragazzini ai banchi delle elementari perfettamente integrati nel personaggio
che qualcuno vi ha affibbiato alla nascita. Certi di ciò che siete, anzi fieri.
Non come me che ancora mi domando se non abbia sbagliato tutto.
Oppure il personaggio creato è proprio un altro ed è ancora
meglio. Stesso piglio riconoscibile anche se cambiaste nickname. Anche se
cambiaste foto. Cosa che fate in continuazione, mai stanchi di vedervi in
faccia la faccia di un altro, o per lo meno migliorata coi filtri,
nonostante le vostre battaglie quotidiane per l’autenticità, e la semplicità, e
la verità.
Mi domando se questa non sia una prigione.
Una condanna.
Una condanna.
L’autentico inferno.
Se questa gara ad agguantare consensi non sia una condanna
eterna.
Un bagno quotidiano nella banalità che fa audience.
Nell’interazione ipocrita.
Un’eternità da passare tra emoticon e fiamme.
Forse siete voi quelli che camminano con gli occhi al
cellulare, la propria donna a fianco che digita qualcosa (o l’uomo tanto fa lo
stesso, non cambia). Siete voi, forse, quelli che ho visto al bar sul lago tre
giorni or sono, vi tenevate per mano, chattando con quella libera ognuno per
conto proprio.
Perdendovi il tramonto.
Risvegliandovi l’un l’altra con una secca gomitata, soltanto per uno
scatto da postare immediatamente.
A leggervi mi domando come mai, se siete così bravi, avete
scelto di restar chiusi nel PC a digitare il nulla, a scrivere saggezze
sull’ipocrisia diffusa e la cattiveria del prossimo. Come se prima di voi
nessuno ci avesse insegnato un cazzo.
Perché non siete volati verso destinazioni più giuste per la
vostra indole?
Perché non avete studiato per diventare ballerini di
flamenco, cantanti, attori, illusionisti? Perché non avete fatto i maghi, sì, per
cambiarlo con un solo colpo di bacchetta il destino disgraziato di un
matrimonio del cazzo, di un lavoro che non trovate, di un’autonomia per la
quale nemmeno lottate più.
Si apre il PC e si dimentica ogni cosa.
Ogni retweet sembra dirci quanto valiamo.
Ogni follower ci racconta un successo.
Perché la vita di molti è tutta qui.
Cinquantamila follower e un cazzo da dire.
Tremila selfie e una faccia qualunque, anche in costume
carnevalesco.
Tra un sito di citazioni e la rassegna stampa giornaliera,
se tutto va bene.
Perché non si possono sfornare stronzate tutto il giorno se si
ha qualcosa da fare.
Mai una lettura, se non per fotografare la copertina, mai
una gita al parco con la bambina, o comunque sì, ma sempre col cellulare.
E l’altalena diventa il mare, il piccolo parco è una
foresta, la gente intorno a voi rappresenta la società intera, il tizio che vi
sta seduto di fronte è uno che sta lì a guardare proprio voi, combinazione, e
che chissà cosa combinerà, tanto perché ne possiate scrivere, perché riusciate
a inventare una storiella in centoquaranta caratteri che faccia ridere almeno
gli altri, quelli che vi leggono e che forse vi credono pure.
Una vita eccezionale di cui molti si credono in possesso e che
si svolge nella grigia quotidianità di un’esistenza magra di soddisfazioni e
piena di talent show. E che non domanda più di cambiare, che non scende in
Piazza, se non per avere un buon argomento da digitare.
Il salto lo farete anche voi, statene certi.
Anche voi potrete cambiare, idea, donna, paese, lavoro, casa,
e smatphone.