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domenica 18 gennaio 2015

Dialogo a una voce. RUNNER

È che sai, faccio sport da quando avevo dieci anni e non mi ero mai sentita così.
Credi siano le cadute fatte da bambina? Dici?
…Mah… è anche possibile, certo, dicono che arriva un momento nella vita in cui te le senti proprio tutte addosso le cadute dell’infanzia.
Figurati le cadute dai pattini.
Ero agilissima, lo sapevi?, anche adesso lo sono… e lo sai… ah, ah, ah… credo di non essere mai stata ferma in vita mia. Se mancavano palestra e attrezzi c’era il tennis, se non il tennis, la danza medio orientale.
Oddio… te lo ricordi il mio periodo della danza medio orientale?
Dai!, che venisti anche tu al saggio!, in via Cavour, e io ero la più magra di tutte, senza un filo di pancia, e perciò mi avevano relegata in fondo perché facevo uno strano effetto tra tutte le altre…
e in effetti, ammetto che lo sforzo era quadruplo: se non hai un po’ di pancino morbido è complicato farlo ballare.

E il pilates? Una specie di ossessione.
Ho fatto sei anni di pilates e per un soffio non mi diplomai.
Non parliamo del movimento fatto prima, quando frequentavo la Silvio d’Amico.
Beh, sì, non c’è bisogno di puntualizzare che è stato quasi trent’anni fa. Sciocco.
Perfino scherma! Sì.
Ah, ah, ah… che tempi!, forse scelsi di lavorare in teatro soltanto per frequentare acrobatica.
Perché non mi ci vedi?, e l’esperienza con i russi?
Ah, le lezioni di mimo di Angelo Corti (che il signore lo abbia in gloria!)… che ricordi, lezioni durissime, e io le adoravo.
Ah, l’acido lattico!
Meraviglia l’acido lattico!
Non dico che mi faccia godere come una bella sculacciata ma diciamo che è un buon sostituto. Mi piace sentire i muscoli doloranti, tesi, perciò spingo, sempre di più, ogni giorno vado oltre, oltre la soglia del dolore che poi porta beneficio, che mi fa sentire… non so… attiva, felice…
Il fiato va bene, sì, nonostante il fumo, come diceva Walter Chiari, io corro per mantenere i miei vizi. E poi lo sai, lo vedi anche tu che ormai fumo pochissimo.
Eh… ma sì, sì, non è il fiato il mio problema, anzi, quello lo controllo anche bene, dopo il primo chilometro è ampio, calmo… no, non è il fiato no. Son proprio le gambe, sì, sono le gambe che tante volte mi dico: se fai ancora un metro ti cedono. Un metro ancora e cadi sul marciapiede. Allora rallento e vado di passo svelto, mi riposo e ricomincio.

Ma secondo te chi fa sport poi invecchia meglio o peggio?, no, perché sai, non vorrei che uno sforzo eccessivo… ma ormai non ce la faccio più a rinunciare all’ossigenazione mattutina, è una dipendenza, un fottuto bisogno, lo vedi anche tu, no?, che con qualsiasi tempo m’infilo la tuta e parto. Anzi, quando corro sotto la pioggia mi sento ancora più felice. Mi sento una ragazzina… e se pensi che per arrivare a correre ho fatto ben tre anni di camminata veloce… beh, non credo che avrò gli stessi disturbi… o sì?
Mi terrorizza l’idea delle ossa doloranti. La vedi Maria che cosa è diventata? Sembra mia nonna!, curva… cammina sbilenca…
Beh, sì, certo che vedrò la pelle cedere, comunque va da sé, mi sono rassegnata, nonostante le creme, i massaggi, le cure termali la vecchiaia arriva… ma le ossa…
Però sai… non cerco giustificazioni, ma è che da quando ho fatto quei lavori in casa... veramente, non sono più la stessa.
Avrei dovuto chiamare un imbianchino professionista.
Sì, sono stata una pazza a voler completare quelle due stanze in tre giorni.
No… non è propriamente muscolo o tendine, è qui, vedi?, al gomito, senti?
E poi non riesco più a muovere le braccia come prima, guarda… nonostante anni di lavoro con gli attrezzi, guarda… non sono più nemmeno in grado di far compiere al braccio una roteazione completa. Farla fare a entrambe non ne parliamo… in senso inverso è ormai un’utopia.
Ah, anche tu hai dolore?
Dall’incidente sugli sci?
E che hai fatto?
Niente?
Non so, forse dovrei provare con un po’ di fisioterapia, o riprendere yoga. Beh, sì, certo, non avrei mai rinunciato in vita mia a un po’ di yoga.
Ma forse il nuoto… forse è meglio non credi? Dicono che il nuoto per spalle e braccia sia un toccasana.
Dici che sarebbe più proficuo aquagym?
Meno stressante?
Ah, decontratturante?
Perché? Io ti sembro una contratta?
Cavolo… no… è che speravo bastassero i miei otto chilometri al giorno.
Ma pensi che il problema sia l’umidità?
No eh?
Non so, quasi quasi vado a fare delle lastre, non vorrei ci fossero micro fratture. Magari si possono riparare.
Dici che spenderei soldi inutilmente?
Dici che non mi risolverebbe niente un buon osteopata?
No eh?
Ma perché fai quella faccia?
Dai, dimmi… dai non fare lo stupido, lo sai che di te mi fido…
Cosa?
Eh?

Beh, allora vaffanculo tu e la vecchiaia, io vado a correre.

domenica 11 gennaio 2015

144: ti voglio aiutare.

Era un periodo di fermo in teatro, quel po’ di doppiaggio non bastava a pagare l’affitto e lui, l’artista puro con sguardo languido e tormentato, rifiutava scritture in tivù. Che nel frattempo se ne scopasse anche un'altra non c’entra con questa storia. E nemmeno che mi ci ero messa perché somigliava tanto a Marcello Mastroianni, non fosse stato per i colori, l’incarnato chiarissimo e le mani da contrabbassista. Invece faceva il cantante.
Trovai l’annuncio di lavoro su Portaportese, lauti guadagni, poco impegno, luogo di lavoro sicuro, contratto eccetera.
Il colloquio si svolse in una stanza asettica, anche loro erano asettici, i tre eleganti napoletani che mi posero il questionario e registrarono la mia voce che leggeva un brano tratto da un quotidiano.
Mi congedarono con uno sbrigativo “le faremo sapere”, senza nemmeno entrare nei particolari di quella mansione.
Mi richiamarono il giorno dopo per un secondo colloquio, era la capogruppo, adesso, che doveva capire se fossi adatta o meno a sussurrare parole dolci agli utenti.

Lalla, forse Ilaria o Raffaella non approfondii, era una donna in carne e piena di sensualità. Era bella da tenere in casa come sopramobile; la sua parola d’ordine era “sorridere” e infatti non credo di averle mai visto altro che quell’espressione ilare sul viso morbido. Vestiva in modo assai femminile, e dopo avermi provinata ancora una volta registrandomi, si prese qualche minuto e infine mi assoldò.
Ti chiamerai Bianca!, esordì mostrandomi il contratto da firmare e invitandomi a leggerlo mentre mi spiegava nel dettaglio la mia mansione. Si trattava di comodi turni da sei ore, di cui io avrei scelto la fascia oraria di settimana in settimana, che si svolgevano in una grande sala luminosa con tre postazioni da sei, a mo’ di open space, soltanto divise da plexiglass grigio argento, le sedie, comode e confortevoli, accoglievano le ragazze, tutte giovanissime che in atteggiamento conviviale conversavano al telefono con i clienti. Ogni telefonata durava un pugno di minuti, la prima veniva pagata niente, forse duecento lire, adesso non ricordo sono trascorsi dei secoli, ma era con le seguenti telefonate fatte dallo stesso cliente e a distanza di cinque minuti che avrei guadagnato. Fossero passati sette minuti, e non cinque, e sarei tornata al punto di partenza, se il cliente avesse richiesto una collega anziché me, avrei totalizzato una penalità. Oltre al grosso guadagno di base, dovuto alle telefonate dei curiosi, dei ragazzini e di quelli che volevano soltanto giocare un po’, penalità e bonus rappresentavano detrazioni o forfait mensili da favola.  
Una volta riuscii a trovare in busta paga tremilionicinquecentomila lire, grazie a un povero solitario che mi contattava solo per fare cruciverba.

            La particolarità del contratto, era che pur essendo una linea telefonica d’intrattenimento non potevamo nel modo più assoluto fare sesso telefonico con i clienti. Era una linea erotica spacciata per linea amica. Complicato. Un sorriso ammiccante di donna con la didascalia: ti voglio aiutare.
Lalla insisté a lungo, ritornandoci sopra varie volte su quella clausola fondamentale: ricorda, mai usare un linguaggio esplicito. Loro chiamano per quello, e si masturbano- specificò Lalla in un mezzo sorriso- e richiamano, ma tu devi essere brava a intrattenerlo usando mezze frasi, metafore. Usa tutta la fantasia che hai perché lui si illuda che tu sia la sua fidanzata. È gente sola- concluse con espressione afflitta, -noi diamo loro una mano-, e prese la mia, stringendola cordialmente.

Già quella notte non riuscii a chiudere occhio.
Pensai fosse l’emozione per quello strano ingaggio, perché come sempre non mi sentivo all’altezza.
Invece il primo giorno andò benissimo. M’integrai immergendomi con piacere in quell’atmosfera ridanciana, cercando di carpire segreti delle più brave, origliando, in cerca della chiave d’accesso al profilo gold, quello di Lalla, che in breve era diventata centralinista, colei che smista telefonate e favorisce guadagni.
Ed io piacevo a Lalla, la sua chiara espressione di benevolenza si palesava ogni volta che le portavo caffè, acqua e caramelle.  Ogni volta che passavo a salutarla ossequiosa, ogni volta che incontrandola le facevo un complimento: gli orecchini, la borsa, il cappello.
E guadagnavo. E più guadagnavo più trovavo strade comode per far sì che mi richiamassero. Allora come oggi era la parte della ragazza ottimista che vinceva su tutte, la tecnica della ragazza libera e autonoma mi aveva procurato soltanto penalità.
I clienti avevano un vocabolario povero e poveri argomenti. Ero io che dovevo far passare i minuti, che da pochi elementi cercavo di costruire l’identikit del maschio, per accontentarlo, domandargli come fosse andata la giornata, estorcergli altri elementi per portare avanti quell’inutile conversazione e tenerlo al telefono per delle ore.

E di notte le linee si facevano bollenti. Disperati e folli, chiamavano una voce nel nulla per parlare del nulla. E si guadagnava il doppio.
Così mi feci ardita e dal buco dove il Principe Azzurro ed io abitavamo, precisamente nella famosa via Gradoli dei nostri anni di piombo, partivo a bordo di bus notturni, borsalino in testa, chiodo, anfibi, walkman e David Bowie nella testa, alla volta di una deserta e poco tranquillizzante Piazza Mancini.
Metafore, d’ispirazione botanica o culinaria, mezze frasi ambigue e tanta dolcezza fecero crescere in breve il mio portafoglio clienti. Andai avanti per altri sei mesi diventando il capitano in seconda, la vice di Lalla.
I meccanismi che regolano l’ascesa sono quelli di sempre, si tratti di aziende o teatro, meno la buona coscienza, che in quel caso però, riuscii a tacitare. Non era come accettare una scrittura con colleghi poco talentuosi. Fu facile scendere a compromessi con me stessa per raggiungere bonus a fine mese.
Almeno per un po’.

Al termine del sesto mese iniziarono gli incubi.
Non sapevo che mestiere facessero quelle anime solitarie e deluse che spesso sfogavano con me rabbia e frustrazione, non so nemmeno se fossero consapevoli del loro stato, se si rendessero conto di quanto spendevano per non avere nulla in cambio.
Ci misero un po’ ad accorgersi che ero stata io a far calare il traffico telefonico. Fu Lalla a sorprendermi, prendendomi alle spalle, mentre rassicuravo l’utente e lo incoraggiavo, insospettita dal fatto che alcuni clienti un tempo a me affezionati domandassero altre ragazze.
Si trattava di statistiche.
Non c’è nemmeno bisogno di avere buon occhio.
Non facevo granché per dissuaderli dal telefonare.
Dicevo loro la verità: che sarebbero rimasti sempre e comunque da soli, che dovevano uscire e provare a conoscere qualcuno, a parlare occhi negli occhi con una donna che non tenesse lo sguardo fisso all’orologio per ottenere bonus.
La stessa cosa dissi a me stessa, una volta ritirata la busta e il benservito da chi sapevo già non avrei incontrato mai più. Mi ripetei che forse meritavo di meglio, io, e anche loro.

Che poi, una volta liquidato anche il tizio che mantenevo in via Gradoli mi sia andata peggio non ha più importanza. Avevo di che sopravvivere per almeno un anno. Permettendomi anche qualche corsa in taxi.

venerdì 9 gennaio 2015

SPAM!!!

Uno scrittore, al quale mesi e mesi fa domandai di leggere il mio Justine 2.0, infilando emoticon qua e là per non ferirmi, mi rispose: e tu hai mai letto qualcosa di mio?
Ricordo che dall’altra parte del monitor arrossii perché, in effetti no, non avevo mai letto nulla di suo. Così feci educatamente ammenda ripromettendomi di andare in libreria e acquistare uno dei suoi Romanzi, cosa che non ho ancora fatto dato il trasloco e i mille impegni della nuova casa. Ma comunque non insistetti, non gli scrissi più e, soprattutto, mi resi conto di essere stata una gran maleducata.
Se ci si rivolge a un collega per ottenere un giudizio bisognerebbe quantomeno sapere come scrive.

Io che vengo dal web dei newsgroup, dal mondo 1.0, dove ignorare la netiquette poteva costare l’esclusione da un’intera comunità, e dopo anni di gestione della comunicazione on line per tre aziende, so che l’invio reiterato di pubblicità altro non produce che l’effetto contrario a quello auspicato.
Stamattina, di buon ora, trovo tra i messaggi di posta il solito (devo dire gentile), invito a cliccare “mi piace” sulla pagina di uno “scrittore”. Gli rispondo un tantino seccata, facendogli notare che era il quarto messaggio nel giro di due mesi e che, comunque, se non avevo aderito, significava che non nutrivo alcun interesse per lui e di lasciarmi cortesemente stare.
Di rimando, candido, mi dice che non si trattava di un quarto invito ma di un secondo e che, comunque, poiché presente nella sua lista di amici, non c’era niente di male a inviarmi e mail pubblicitarie.
Alla sua cortese risposta gli ho fatto notare come, nella seconda email ancora presente nella mia casella di posta, si facesse riferimento a un invito precedente e a quello precedente ancora e che quindi le sue richieste erano state ben quattro e non due, come lui continuava a sostenere.
Naturalmente, al suo: anch’io sono un esperto di marketing e so come fare, in risposta al mio altruista “meglio demordere se non ottieni esito positivo”, ho deciso di bannarlo.

Bisognerebbe provare ogni tanto a domandarsi il perché di un rifiuto, di un silenzio ostinato, di un “no”, o di un “sì lo leggo” che invece si rivela un nulla di fatto. Non con gli amici, gli amici veri hanno il compito preciso di prendere visione delle nostre imprese letterarie, e provare a essere sinceri, aiutarci a capire che sarebbe più proficuo desistere o incoraggiarci, in caso credano veramente in noi e nelle nostre capacità.
Insistere, mettendo in dubbio la buonafede di chi ha già risposto negativamente, è da maleducati e basta.
Una volta, quando dirigevo ancora la mia scuola di Musica, l’UM, prima del fallimento, mi scrisse un musicista che tempo prima mi aveva inviato un curriculum. Mi scrisse tutta la sua disperazione di diplomato al Conservatorio senza lavoro, concludendo amaramente che sarebbe bastata un’email di default, di quelle che dicono che abbiamo ricevuto la Sua gentile proposta e la terremo presente per il futuro, per far sentire qualcuno non del tutto ignorato dal resto dell’umanità. All’UM me ne arrivavano una media di venti al giorno di c.v., ma lui aveva perfettamente ragione, e me ne scusai, e soprattutto cominciai a rispondere a tutti con una gentile email di default.

Non sono una cattiva persona ma credo che la provocazione gratuita su temi sensibili perpetrata sulle home personali degli utenti, così come intestardirsi a dar torto a chi, di fatto, ha ragione, di chi ha tutto il diritto di non voler vedersi subissato di richieste, sia un modo pessimo per instaurare un rapporto di stima. Fosse stata anche una singola e mail pubblicitaria ed io mi fossi alterata, avrei avuto comunque ragione.
E terrorizzata mi domando: ma se un tizio fa così con me che non sono nessuno, per un singolo inutile “like”, cosa combinerà con le case editrici cui invia le sue opere, sempre e comunque degne di chiamarsi tali perché frutto d’impegno e profusione di sforzi qualunque sia il risultato?
Devo dare quindi ragione alle case editrici che si nascondono dietro il muro di gomma del silenzio?
Perché taggare e ritaggare qualcuno che è evidentemente disinteressato ai nostri argomenti?

Quando ho aperto questo Blog mi è capitato di inviare i post a persone cui pensavo fosse proficuo inviarli, poche, una decina al massimo, e con tanto di righe di accompagnamento e ringraziamento anticipato per la cortese attenzione.
E sebbene abbia ricevuto sempre risposte entusiaste, con il tempo ho capito che è rischioso approfittare della gentilezza altrui. Che bisogna essere cauti, e che, comunque, chi è interessato a leggermi mi leggerà.
Le stelle non ci invitano a guardarle, ma continuano a sorprenderci ogni giorno.