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mercoledì 28 maggio 2014

La rivoluzione? Russa.

Qualche settimana fa sono capitata in una festa di ex sessantottini ed ex combattenti. C’erano anche ex galeotti, immagino. Ex tossici, sicuramente. Insomma, una di quelle riunioni che un tempo sarebbe parsa più un’adunata sediziosa che una festa di compleanno.
Nemmeno l’abbigliamento è cambiato da allora, lo giuro: jeans scoloriti e magliette con stampati sopra slogan efficaci e irriverenti, oggi uguale a ieri. I capelli, pochi e ormai grigi, portati rigorosamente sulle spalle magre e un po’ curve. Anche lo zainetto fa parte del look post sessantottino, qualche borsa di cuoio e Kefiah DOC.
Gira anche qualche canna di quelle forti, che se fai un tiro sei già bello fatto, ma nessuno me la passa. Di contro, e secondo la legge della condivisione che vige tuttora in certi ambienti, ognuno ha portato qualcosa da mangiare, o da bere. Io me ne sto in piedi accanto alla porta, in mano una busta con un paio di bottiglie.
L’aria che si respira è quella del “diamoci del tu e baciamoci sulla bocca” che, tra tutto questo darsi del lei, un po’ affarista, certo non guasta. Quando qualcuno m’interpella, parlo, altrimenti preferisco starmene zitta e osservo. Si parla di ciò di cui si deve parlare a una festa, di letteratura, cinema e arte, dell’ultimo film Ozpetek, di tutto quello che ho già letto sulla mia “timeline” che mi aggiorna nonostante io non voglia, che influenza il mio giudizio comunque, che fa sì che io sappia anche ciò che non m’interessa.
Non manca la politica, Renzi, Grillo e Berlinguer. Dicono che la sinistra non è morta né morrà finché il loro cuore rosso ancora batte. Rosso è anche il vino, rosso il tramonto su Campo de’ Fiori: la casa è di famiglia, qualcuno mormora al mio orecchio, forse per giustificare tanto sfarzo che, tra terrazza chilometrica e mobilio di arte povera, pare di stare alla “Ribattola” di BVLGARI.
Anche i ragazzini sono tutti alternativi, i giovani, quelli che si avvicendano durante la serata a salutare i “vecchi” e a domandare loro la paghetta.
La musica, nemmeno a dirlo, è quella che ascoltavo da bambina, Dylan, Taylor e Joan Baez, di Jazz neanche l’ombra, è musica di destra, lo sanno anche i bambini.
L’onda alcolica è già abbondante, abbondanti le parole, ci si scambia interlocutore e si riprende dai soliti argomenti: il commercio equo e solidare, la decrescita felice, il cohousing, fratello anglofone della vecchia comune, niente di diverso, quindi, a parte un cambio di nome tanto per essere più al passo con i tempi.
Eppure c’è qualcosa che a un certo punto suona strano, e non è certo una chitarra, di quella nemmeno l’ombra. Qualcosa stona in tutto quel bel clima, ed è proprio dopo cena, quando la festa dovrebbe animarsi, che invece mi ritrovo a stare sola e a guardarmi intorno alla ricerca di occhiate complici.
Appoggiati al parapetto dell’ampia terrazza, seduti attorno ai tavoli e in salone sui comodi divani, gli ex combattenti satolli di cibo e vino, stanno chini sui loro dispositivi elettronici, cellulari e I Pad. Vedo che qualcuno si è anche attrezzato con il portatile.
Con i loro occhiali da lettura scorrono il dito sullo schermo. Di tanto in tanto ridono. Parlano tra loro lanciandosi battute a mezza bocca mentre continuano rapidi a digitare chissà cosa a chissà chi. Si rianimano per la foto di gruppo e poi si riassopiscono in attesa di postarla. Poi si ridestano commentando i commenti di commentatori assenti.
Siamo aumentati di numero ed io non me ne sono accorta.
La loro, adesso, è una conversazione chiusa, ormai inaccessibile a me che non sono on line né sono stata taggata nelle foto. Ed è proprio di questo che parlano animatamente, di quanti tag si possono mettere su un post e di come uscire dalle conversazioni, di come la rete ci controlli e di quanto ciò sia frustrante, di come combattere il sistema e di come uscirne. Io, li guardo allibita mentre ci sguazzano dentro, beati. Loro sono il sistema, loro lo alimentano, e non se ne sono ancora accorti. La rivoluzione, russa, e per me si è fatto veramente tardi.
Sola, tra un mare di persone alle undici me la do a gambe.
Prendo il cellulare solo per guardare l’ora.
Invio un messaggio di S.O.S. destinazione Marte: extraterrestre, portami via.


4 commenti:

  1. Ex sessantottini con l'attico su Campo 'de Fiori a parlare di Ozpetek?!? Ma limortacci...

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  2. Io evito rimpatriate, per scelta consapevole. Questa per te probabilmente non lo era, ma per molti di loro credo di si, o più probabilmente un rapporto che non si è mai interrotto. Son cambiati e non se ne sono accorti, perché sono invecchiati assieme. Troppi ne ho visti lottare ed essere alternativi ma con la famiglia coi soldi, inneggiare anche al rapimento di Moro, e poi sposarsi tra borghesi. Mondo che mi è estraneo, non per fortuna o per scelta, ma solo perché la vita me ne ha tenuto ben lontano. E pure io sarei fuggito, ma molto prima, se avessi potuto…
    Ps. Mio figlio, a volte, lo vedo interagire con i coetanei in questo modo, presente con loro ma in rete con altri, lui appartiene ai nativi digitali, quelli che hai descritto sono euro zero.
    Silvano C.

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  3. Sei brava. Scrittura evocativa. Io sono nata nell'ottobre del 1949 e ho vissuto quello che tu racconti così bene ma non rivivrei nemmeno un'ora della mia vita. Non tornerei indietro per nessuna ragione al mondo. La tecnologia mi affascina e come tutte le cose - banale - meglio dosarla e non abusarne. Sono una di quelle che ringrazia per la lavatrice e la lavastoviglie e che pensa che si viva meglio oggi che nel 1800 o nel 1900. Detto questo la nostàlghia prende ogni tanto ma penso anche quando comincio a fare certi discorsi che sto invecchiando e mi vengono in mente mamma e papà (classe 1893 e 1916) quando erano loro a farli a me.

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  4. Grazie Clelia, grazie per la lettura, l'apprezzamento e il commento. Capisco il tuo punto di vista e sicuramente anch'io sono grata alla tecnologia, alla lavatrice prima di tutto. ;) Però, io che l'aria del sessantotto l'ho respirata appena, prendendo in piena faccia la bufera digitale, comincio a pensare sia soffocante. Sarebbe fantastico riuscire a non abusarne ed è ciò che vorrei saper fare anch'io. In questo momento, comunque, sono alla ricerca di una bella Olivetti da usare per i miei prossimi romanzi. A presto.

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