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venerdì 12 aprile 2013

Deriva #25 Deriva della seduzione: il cinquantenne




Terza Parte...


Inutile che vi scaldiate tanto e che vi affanniate a inviarmi mail di giustificazione e d'insulti. L'ho scritto e riscritto che questo non è che un mio punto di vista, e nemmeno così privilegiato. Cercate soprattutto di dotarvi di senso dell'ironia e magari di un pizzico di autocritica in più.


La donna in rosa e con un enorme tocco di cioccolata ancora tra le labbra, sigaretta sul posacenere e televisore in ”mute”, ha deciso di perdere l’ultima puntata di “The walking dead”, la replica, per dare inizio a questa liaison elettronica con il cinquantenne stempiato dall’aria autoritaria che, sigaro tra le labbra forti, la guarda sornione dalla PIC.
Di lui ha già letto molto: saggi sui social media, su politica e storia del brigatismo rosso, su fiscal compact e spread. È il tipico maschio rampante pigliatutto, ed è bene che abbia opinioni su ogni cosa, anche su di lei.
È curioso per nascita. Da bambino, probabilmente per soddisfare la sua sete di sapere o di crudeltà, si divertiva a mozzare code alle lucertole e zampe alle rane.
Il vanesio ha appena ricevuto il DM nel quale lei, presa alla sprovvista, a una domanda banale (vedi deriva #23) ha digitato un ancor più ovvio “Pensavo a te”.
Sempre illuminato dalla luce dell’abatjour, l’uomo si sta dedicando allo studio di tutto ciò che Google riporta sulla Signora, che da brava professionista non si è nascosta dietro un nickname.

Ma non sono le scarpe dal tacco vertiginoso con allacciatura alla caviglia che lo attraggono. Nemmeno i piedi magri sicuramente trentasette e smaltati di fresco, e che preludono alle caviglie sottili e ai polpacci da ex ballerina.
Vuole sapere, e basta. Fa parte della sua natura, è atavica curiosità per l’antro oscuro che forse lo accoglierà, la stessa che aveva quando bambino spiava la cuginetta (sempre quella uguale per tutti) dal buco della cabina dello stabilimento balneare.
È la calza abbandonata sulla spalliera della poltrona ottocento come un braccio stanco dopo l’amplesso, che lo attrae. La poltrona dai disegni floreali un po’ stinti, dove chissà cosa è mai successo, un tempo o ieri. I libri, di cui cerca di leggere i titoli, impilati sul comodino senza nessun criterio, abbandonati lì chissà da quando, presi e lasciati o sfogliati a caso prima di dormire. Gli solletica la fantasia il bicchiere sospetto: forse prende tranquillanti.
La piantana elegante e un po’ malmessa che pare una donna magra col capo adagiato sulla spalla, e che illumina una toilette disordinata e piena di minuscoli particolari eccitanti. Il rossetto lasciato aperto così come il flacone di crema: un appuntamento, forse la visita inaspettata di un uomo e il cambio veloce da fare mentre lui è in ascensore.
Lui chi?

E inizia a scorrere furiosamente la TL dell’amata, di quella femmina che lui non conosce per niente, ma che già gli dice qualcosa. Che gli racconta di sé attraverso immagini parziali, particolari sfuggiti che sanno tanto di svagatezza femminile, quella del tacco che s’incastra nel sanpietrino, che si rompe durante una corsa per le scale della metropolitana affollata. Una disattenzione connaturata che si evince dalla pessima messa a fuoco delle foto, dai capi di vestiario sparsi un po’ ovunque, sulla sedia della toilette un baschetto, per terra, vicino alla gamba del tavolino un paio di pantofole buffe che stridono con la penombra voluta e col ritratto di una Madonna scura con bambino.
Quelle quaranta foto tutte uguali, che l’uomo continua a scorrere con avidità, immagini parziali di viso e corpo della nuova amante digitale, racchiudono più di una storia e più di una giornata.
Quelle foto, sono per il maschio predatore (come sempre mi perdonino le femministe), un puzzle tutto da ricostruire. Tracce, che come il grande Sherlock Holmes, l’uomo metterà insieme per formare il profilo unico che, tra meno di mezz’ora e sotto l’elegante luce dell’elegantissima toilette, gli accompagnerà su e giù la mano larga e ampia, per più di tre minuti e quaranta secondi.

Lei, intanto, aspetta.
Non c’è nemmeno bisogno di scriverlo che all’ovvio “Pensavo a te” seguirà il banale “E a cosa di preciso?”.
Anche lei sta rileggendo in fretta tutto ciò che lo riguarda alla ricerca disperata di un buon argomento.
Le sue mani, per esempio, sarebbero un buon argomento. Una conseguenza logica che da lì scivolerà rapida verso tutte le fantasie di quel genere. L’unico genere di fantasie, che due esseri umani costruiscono odorandosi attraverso i pixel.
La testa è diventata ormai un tutt’uno con il monitor e basterà una piccola scintilla a scatenare l’inferno.
Le mani possono sconvolgere all’improvviso tutto l’equilibrio di una giornata e di una settimana a senso unico e che per lei, sposata e senza figli, oppure single e con figlia a carico, ma anche single con gatto, è finire la relazione da consegnare al capo lunedì, andare a fare la spesa e la fila alla posta per pagare le bollette. Le mani, possono dare inizio a un reload continuo della pagina in attesa di un DM speciale, un altro e un altro ancora, fino a un sonno senza sogni.

Al logico «Pensavo alle tue mani» di lei, invece, segue un inaspettato «Dimmi... » di lui. Una sospensione dovuta, ancora più accomodante quando seguita da punti sospensivi, i soliti, quei tre.
Ed è a questo punto che lei sarà costretta a una scelta. Che chiamerà in adunata tutti i propri ricordi, almeno quelli dell’ultimo anno, le tre storielle inutili che le hanno fatto perdere tempo, troppo: due appuntamenti mancati e un mezzo imbecille che guidava come un pazzo.
È esattamente a questo DM, e ad appena cinque minuti dall’inizio della seduzione, che lei dovrà capire se vale la pena cedere o conviene farsi indietro, se mostrargli l’attaccatura del reggicalze o mantenersi all’orlo della sottoveste.
Dipende dal desiderio, sì, ma anche dall’ingenuità: quella roba che a qualunque età ci fotte in tante.

Ma quel “Dimmi... ” così caldo ha già scavato un tunnel nella fronte ampia e scoperta dai lunghi capelli lisci che lei porta raccolti in una coda bassa.  Quel “Dimmi...” significa attesa e asservimento. Come l’uomo che al telefono ti domanda di continuo “come stai”, e lo fa perché ci tiene veramente a te, forse, o più semplicemente perché non vuole dirti di sé. Significa: ti ascolto, sono qui, non ho fretta. È un tacito “mi fido”, vai avanti, accompagna la mia testa e la mia mano (che poi fa lo stesso).
È un uomo che la guarda scomposto al di là del tavolo, e che tra i rimasugli di una cena lunga e piacevole, le domanda di parlare ancora, di non fermarsi mai. È un uomo assetato, che vuole scoprirla anziché mettersi in mostra. Uno che, nonostante i mille impegni da uomo rampante, Manager, giornalista, scrittore, parlamentare o ex comunista, vuole scavare in lei per trovare finalmente una fonte dissetante, labbra che dicano cose intelligenti, certo, ma che lui tra poco impegnerà in altro, fra meno di un quarto d’ora, forse, nel suo bagno pieno di specchi.

(continua... )



7 commenti:

  1. Complimenti per lo stile, ma siamo davvero cosi noi uomini? prevedibili scontati ? nelle tue parole c'è sapore di gia visto e vissuto ma niente luce o speranza ?
    darsi la mano senza aspettative è cosi difficile ?
    quasiblu

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  2. Attraverso un monitor lo vedo difficile. Grazie per lettura e commento.

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  3. sei molto brava, raramente finisco un pezzo su un blog letterario. io leggo sempre di politica economia e.. terrorismo
    @pierandrea1965

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  4. Cominci a provare un molesto senso di invidia per come scrivi.

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  5. Aumenta sempre di più di continuare a leggere per sapere come va a finire.

    Bello leggerti Elena. :)

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  6. Interessante articolo, ovviamente nella seduzione bisogna anche saper baciare altrimenti si rimarrà per sempre in bianco :(

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  7. Mi piace moltissimo.

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