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sabato 26 gennaio 2013

Deriva #16 Piatti di plastica o porcellane



I luoghi sono sempre gli stessi così come i personaggi: quelli invitati alla festa su nell’attico in via dei Condotti e quelli che, giù dabbasso, durante i Saldi, fanno la fila per far finta di voler scegliere tra il borsone o la sacca di Borbonese per poi accaparrarsi la busta vuota della Boutique.
Perché anche se cambiano foto e nickname, che siano intellettuali, politici o casalinghe, le categorie sono sempre quelle dei signori e degli arricchiti –e personalmente ho incontrato più signori tra i contadini e le badanti che viaggiano sul Cotral che tra i guidatori aggressivi di Suv.

È ovvio, e nemmeno dobbiamo ripeterlo, che ognuno è libero di fare ciò che più gli aggrada, ma non possiamo pretendere che gli altri approvino il nostro comportamento né tuittare i soliti e assai noiosi: e i cazzi vostri no?
No, perché viviamo in uno spazio comune e se non vuoi essere giudicato, tuitta con la testa e non perché ti freme il dito.

Sarà perché la mia educazione è stata supervisionata dall’occhio azzurro e vigile di una nonna nata nel 1908, elegantissima e allevata in un Collegio svizzero (e che non mi stancherò mai di ringraziare) ma credo che la buona educazione sia un codice comportamentale universale e che, come l’etica, non è soggettiva ma sancita e approvata dalla società, con qualche variazione geografica, ma più o meno sempre uguale.

L’altro giorno, per esempio –perché io no, non sono grado di stare zitta- mi sono trovata in un alterco con un tizio la cui PIC parlava già abbondantemente di lui e del suo “sticazzismo”, e che aveva dato della “troia” a una povera lavoratrice –magari in nero- che gli aveva servito della roba –a suo dire- troppo piccante.
Il tuit in sé rappresentava uno dei soliti inutili sfoghi che farne a meno non costava niente ma se posso giudicare eccessivo censurare parole come “puttanata” poiché non è lesivo nei confronti di nessuno ed è un termine che ha un senso esatto nella lingua italiana, non posso più tollerare l’accostamento continuo di noi donne ad attività di fellatio e a tutta la sfera erotico commerciale. E naturalmente –così evito altre polemiche con le femministe- mi altero ancora di più perché da ipocrita (tuittatore sotto nickname) usi il termine in modo offensivo quando spenderesti tutto ciò che hai per sollazzarti ogni sera con una rispettabile signora che il mestiere lo fa sul serio.
Ma l’aspetto scandaloso e che più mi ha fatto riflettere sulla #deriva in cui siamo, è stata la sua risposta: un conto è ciò che dico e un conto è ciò che penso.

Ricominciamo dalla base. Pensiero, parola e azione dovrebbero essere legati da un filo chiamato coerenza.
Normalmente dico ciò che penso, altrimenti sarei un ipocrita, ma spesso non posso dire proprio tutto (Voltaire insegna e Candido con lui) perché potrei pagarne gravi conseguenze, e fin qui, ci siamo.
Dire ciò che NON penso travalica ogni ragione possibile.
Dico ciò che non penso per fare del male e per ferire qualcuno.
Oppure per scrivere un tuit inutile.
Se quindi vengo lì a dirti che hai il membro invisibile, non ti devi offendere.
Perché se tua nonna non ti ha mai dato buffetti sulla bocca quando da bambino dicevi parolacce, visto che siamo in un NON luogo pubblico, allora io ho tutto il diritto di alterarmi. E soprattutto, se un domani qualcuno darà della lavoratrice di bocca a tua moglie, non ti arrabbiare: non lo pensa.

Siamo sempre lì.
Il concetto di unicità tra forma e contenuto è qualcosa che noi occidentali non riusciamo a mandare giù: per ipocrisia, comodità, pressapochismo.
Siamo quarti nella classifica mondiale dei fruitori di Youporn, mandiamo DM luridi a chiunque, ma poi, se si parla di scambio di coppia o di sado maso, sgraniamo gli occhioni e ci appelliamo a una morale assai opaca lasciando che la nostra signora tocchi la propria personale deriva in tuta di pile e bigodino davanti a “Centovetrine”.
Sempre il solito saggio dice: mi comporto da solo come se avessi degli ospiti, sto con gli ospiti come se stessi da solo.
Avete mai pranzato con un milionario? È lo stesso che pranzare assieme a un bracciante vecchio stile. Nessun formalismo e una rilassata conversazione. Evidentemente, sono entrambi Signori.
Quando tuittiamo cerchiamo di capire se noi stessi vorremmo leggere, e rituittare, i centoquaranta caratteri appena digitati (e senza ipocrisia).

Per me l’umanità si divide in chi consuma un panino da solo in piedi o su piatti di plastica, e chi cucina qualcosa di veramente appetitoso e apparecchia la tavola solo per se stesso usando porcellane e bicchieri di cristallo (o comunque il servizio buono).
La forma è qualcosa che qui in occidente si “apparecchia” solo per gli altri, quando normalmente, siamo noi i veri imperatori della nostra esistenza. Allora perché lasciare il servizio nella madia anziché usarlo quotidianamente?
Lo stesso accade per le parole e per i modi che usiamo.
Le persone a modo, a mio modesto avviso e secondo alcuni vecchi signori barbuti, sono quelle che pensano bene, dicono meglio e fanno ancora più di ciò che dicono. Quelli che, per usare un altro vecchio adagio dimenticato, non farebbero mai agli altri ciò che non vorrebbero fosse fatto a loro stessi. Le persone non a modo, invece, possono anche avere la sacca di Borbonese ma hanno soltanto molta confusione in testa, suonano il clacson appena scatta il verde e chiamano puttana la poveretta che gli ha servito la pizza, e senza che lei possa replicare.
L’amore non si vede, e nemmeno l’odio, così il disprezzo. Ma l’amore si sente anche da lontano, a distanza, così l’odio e così il disprezzo. Si chiamano energie.

Il fatto è, che Twitter è sia “la strada” che la festa nell’attico.
Si sceglie, e se si sbaglia si defolloua.
Come ho fatto l’altro giorno con una tizia di cui nemmeno ricordavo l’esistenza e che mi ha tuittato il suo didietro in perizoma. E non l’ho defollouata perchè fosse brutto, per carità, anzi, ma perché era una visione non richiesta, e perché se proprio ne ho voglia, se proprio sento la necessità di vedere dei bei culi, ho altri indirizzi da digitare.
Non è quella roba lì che fa una bella testa, e credo che su un social come twitter sia assai più proficuo esibire –se proprio si deve- buone idee anziché un bel paio di chiappe di cui il mondo è già strapieno.
Ovvio che puoi fare ciò che più ti piace, anche bestemmiare, ma non pretendere di avere anche l’approvazione del mondo.

4 commenti:

  1. Assolutamente condivisibile. Ho cercato punti di dissenso, e non ne ho trovati. Silvano

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  2. Complimenti all'autrice di questo articolo, condivido in tutto, è proprio cosi ,ci sono pochi cuori rari e sottili, molta ostentazione e apparenza,forza a chi è sensibile ed onesto.
    Ada

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  3. Assai bei momenti, quando ti leggo. Soprattutto a st'ora.

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  4. E che ti devo dire, quando argomenti così non si può non essere d'accordo, anche perchè la vedo - da sempre e sulla mia pelle - alla stessa maniera.
    Sono sempre stato educato a "non fare agli altri quello che eccetera eccetera" e questo mi ha portato ad una coerenza che fa coincidere sostanzialmente quello che sono con quello che penso.
    Ma questo, sottolineo per ampliare la panoramica, mi ha portato anche parecchi problemi, soprattutto sul lavoro, laddove spesso è richiesto più un comportamento conforme che coerente.
    Vabbè ma questo è sostanzialmente un altro problema, quello dell'ipocrisia sul luogo di lavoro.
    Tornando a noi, ebbene si, sono uno che cucina splendidamente anche quando è da solo e non faccio differenza se siamo io e figlia a cena o dieci illustrissimi convitati (se non per la quantità di vino da acquistare)
    Se proprio dovessi estorcermi una critica quello che hai scritto - e ribadisco che è una forzatura solo perché mi va di scrivere - è che forse non basta un tuit sbagliato per defollovare e che il mezzo costringe alla sinteticità quando solo se hai la cultura necessaria riesci a scrivere in poche parole ciò che pensi. Insomma, il primo rutto lo perdono, il secondo meno, il terzo meno, nel senso di menare.
    Vabbè ho scritto il solito papocchio che mi rifiuto di rileggere ma ormai dovresti esserci quasi abituata.
    Salut

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