La tempesta si era finalmente acquietata e anche gli amici erano
andati via. L’appartamento era immerso nel silenzio nonostante la musica
suonasse ancora a tutto volume.
Anna era già di là che faceva le valigie, apriva e chiudeva
armadi, sbatteva porte e parlava tra sé di decisioni già prese e ben ponderate,
di stanchezza e insoddisfazione, di una fine annunciata e di un inizio
auspicato da anni.
Lui era rimasto seduto al tavolo, un ghigno di soddisfazione
aggrappato alla mascella larga, si passava tra le mani brandelli di un tovagliolo
di carta.
Luca odiava i tovaglioli di carta, tutto qui. Non riusciva proprio
a capire cosa le ci volesse a infilare in lavatrice tovaglioli di stoffa. E
glielo diceva ogni volta «Annì, però, ‘sti cazzo di tovaglioli!».
Era il suo tono, il tono e basta che le dava sui nervi. Andare di
là in camera e ogni volta mettersi a fare quella scena –la valigia, il
borbottio e il pianto silenzioso-, le sembrava l’unica risposta possibile.
Non reagiva così perché tutto stava andando a rotoli, di tempo a
disposizione ne avevano ancora per raccogliere i cocci di quella relazione e
rimetterli assieme, o per realizzarsi, o per cambiare vita. Non si sentiva
frustrata perché quell’amore si era disfatto nel giro di due anni, non si
accorgevano più uno dell’altro da anni e la gentilezza si era fatta sottile
come le pareti di quell’appartamento dormitorio alla periferia di Roma.
Ignorarsi a vicenda era un tacito accordo e nessuno dei due dava troppo peso a
quello sfacelo.
Era il tono che assumeva Luca che lei non tollerava più, quella
frase, che le rimbombava nella testa graffiando il rimasuglio di autostima che
aveva gelosamente conservato per gli anni a venire.
Se non sai lavare un paio di tovaglioli cos’altro pensi di poter
fare?, sembrava una condanna certa, un marchio a fuoco più che un rimprovero.
E quella sera l’aveva pronunciata di nuovo, tra la frutta e il
dolce, pensando forse che quella frase si sarebbe dispersa tra le risate degli
amici e le solite battute, “Anna è pigra”, Anna è distratta”, “Anna non bada a
certe convenzioni”.
Adesso Anna era di là, immobile davanti alla valigia ricolma di
roba infilata lì a casaccio. Meditava, ridicola nella consapevolezza amara di
non avere neppure il denaro sufficiente a pagarsi un hotel due stelle, o per un
biglietto ferroviario.
In cucina, Luca si era alzato e con metodo da eccellente ingegnere
meccanico infilava piatti e pentole nella nuovissima lavastoviglie.
Non se ne sarebbe andata neanche stavolta.
L’indomani avrebbero ricominciato a ignorarsi sopportando ognuno
il peso dell’altro con indifferenza, nell’attesa della prossima cena tra amici
e del prossimo litigio, unica occasione per guardarsi negli occhi e chiamarsi
per nome, per riconoscersi e svegliarsi dall’incanto della quotidiana rimozione
di una scelta sbagliata.
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