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mercoledì 12 febbraio 2014

Deriva #49 #derivaditwitter: Wannabe





La prima volta che incontrai questo aggettivo/sostantivo, fu quando mi permisi di esprimere alcune perplessità su Elio delle Storie Tese e sul fatto che, un musicista del suo calibro, non dovesse sponsorizzare e partecipare a un Talent come XFactor.
Fui subito aggredita e tacciata come “rosicona” e “invidiosa”, ossia “wannabe”.
In quel caso fu inutile spiegare le ragioni della mia avversione verso quel talent Show che si basa, oltre che sul presunto talento del cantante, anche e soprattutto sul suo carattere e su peculiarità facilmente spettacolarizzabili. Il fatto che io creda nella “scuola”, nella gavetta, nell’impegno quotidiano, che lo stesso Elio ha sperimentato al Conservatorio, nello studio approfondito della musica, della lettura a prima vista di uno spartito e della conoscenza e ascolto di diversi generi musicali, fu un particolare che passò in secondo piano. Così come a nessuno dei miei interlocutori interessava che io non fossi una musicista ma un’addetta ai lavori, una persona che, avendo diretto per più di dieci anni un’importante scuola di musica, conosce le trappole del mestiere e crede fermamente che questi Talent siano soltanto momenti illusori di notorietà.
Ma il “wannabe” su Twitter può essere applicato a tutto.
Diamo per scontato che la notorietà sia il solo metro di giudizio di una persona. La fama, quella che ti guadagni in televisione, l’unico parametro per giudicare un artista. Il numero di copie vendute, ossia il gradimento del pubblico, il solo lasciapassare per il lavoro di un creativo. Beh, se dovessi basarmi sul cattivo gusto del pubblico televisivo, allora dovrei affermare che Maria De Filippi è un genio assoluto.
Siamo così provinciali e incapaci di dare un giudizio che esuli dall’approvazione generale, da pensare che solo chi è popolare possa esprimere un’opinione o digitare una perplessità. Se lo fa un semplice cittadino, parte il “Chi cazzo sei” se invece lo fa un addetto ai lavori, si va giù di “Wannabe”.
L’artista, e lo dicono le vite dei veri grandi della storia, è notoriamente un insicuro, schivo, poco avvezzo ai palcoscenici. I più grandi attori che ho conosciuto dovevano scolarsi un paio di bottiglie prima di affrontare il palco, anche all’apice della loro carriera. Eleonora Duse, a New York, il giorno della prima de “La figlia di Iorio” avrebbe dato qualunque cosa pur di scappare dall’ingresso degli artisti, pur di fermare la paura e l’ansia da rendimento che le avevano tolto perfino la capacità di muoversi. O l'immensa Marilyn, devastata dal proprio senso di inadeguatezza.

Il pensiero che ci siano individui che conoscono bene la materia di cui parlano, ma che per ragioni caratteriali, esistenziali o semplicemente etiche non vogliano entrare nella macchina infernale del Grande Fratello televisivo, non sfiora nemmeno lontanamente chi taccia chiunque vada contro il gusto della maggioranza di essere un “wannabe”.
Musicisti di cui nessuno conosce il nome, ma che hanno suonato con grandissimi interpreti, non possono permettersi di dire “a” senza che arrivi l’imbecille di turno a dargli del “rosicone”.
Per non parlare del mondo dell’editoria, pieno di storici esempi di scrittori ignorati dalle case Editrici, e che magari hanno iniziato pubblicando a pagamento, poi passati alla storia, al contrario del loro colleghi, famosi e noti in quel momento storico, e di cui nessuno conosce più nemmeno il nome.
Il mondo è pieno di personaggi popolari che non valgono una cicca. Divulgatori di aria fritta costruiti grazie a sofisticate operazioni di marketing, che hanno successo per un paio d’anni per poi essere dimenticati. Così come il mondo è pieno di personaggi anonimi, il cui nome non dice niente a nessuno –almeno oggi- ma che lavorano alacremente attorno al proprio capolavoro, senza pensare nemmeno per un istante al pubblico, allo share, alle classifiche, che lo fanno solo per se stessi, perché non ne possono fare a meno. Come scrive lo stesso Stephen King, uno che i numeri ce li ha tutti, non si scrive mai, né si fa arte, per i soldi, per il pubblico o per la fama. Il più delle volte è qualcosa di cui non si può fare a meno.
Raymond Carver ha scritto per anni e ha ricevuto solo riconoscimenti postumi. La super citata nei social, Alda Merini, scriveva poesie sulle tovaglie dei ristoranti tra una permanenza e l’altra in manicomio. O l’acclamato Camilleri, che pubblicò a pagamento il suo primo romanzo.
Ma pochi conoscono la storia, salvo poi citare l’Ingegner Carlo Emilio Gadda, proprio “La cognizione del dolore”, magari mai letta, soltanto perché sta bene con l’hashtag sui #classicidarispolverare.
Credo si debbano rispettare le opinioni altrui, che si tratti di persona comune o di un artista, senza dover necessariamente ipotizzare che, per essere famoso anche lui, venderebbe un rene. Esiste l’altra faccia della medaglia e della luna, magari, lasciatevi sfiorare dall’idea che esista anche l’altra faccia dell’umanità.

3 commenti:

  1. Certe volte si è fieri che esistano ancora persone pensanti come te e l'essere d'accordo parola per parola fa pensare alla possibilità di esistenze migliori.

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  2. ma accidenti...accidenti...fai sembrar facile scrivere le cose, e invece non è facile per nulla. ciao, non so che altro aggiungere. Silvano C.

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