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sabato 7 dicembre 2013

Deriva #42 #derivaditwitter: Aridaje con la Tweetstar

“C’era una volta il Barone Lamberto... ” è una deliziosa fiaba di Rodari che insegna come, parlandone, si accresca il valore, supposto o meno, guadagnato o costruito sul nulla, di chiunque.
Ecco, forse, se la finissimo di parlarne, le tuitstar non esisterebbero.
Io, che la televisione non la guardo se non per spararmi un film a fine serata, non so nemmeno chi siano certe boccolose dalle labbra a canotto che su twitter hanno più di trentamila fan, così come non so chi siano certi orrendi tipacci dalla risposta a fior di polpastrello che frequentano gabbie e tolcsciò.
Siamo noi che li riempiamo di orgoglio, come in questi giorni con il cane Dudù.
Perché oggi ha più voce lui che un imprenditore sul lastrico, perché parlare di Dudù avrà sicuramente un maggior numero rituit.

Le tuitstar non rispondono! Le tuitstar cancellano le interazioni manco fossero la peste bubbonica! Le tuitstar se la tirano! Le tuitstar defollouano! Le tuitstar si fanno #FF a vicenda!
Ecco, se la piantaste di seguirle, le tuitstar non avrebbero più ragione di esistere.
Ma così non sarà. Sempre per la famosa legge che premia la popolarità e non il successo, un paio di tettone e non un timido sorriso, la battuta lapidaria e non quella sottile, le tuitstar saranno sempre sulla cresta dell’onda.
Allora perché lamentarsi?
È come andare a Cortina e sorprendersi ogni volta delle tizie in minigonna e tacco dodici. Se vai a Cortina lo saprai bene che ci sarà anche l’orda di barbari venuti a omaggiare Montezemolo anziché fare escursioni.
Il famoso “aridinghede aridanghede” di tuitter, che può essere giardino silenzioso pieno di magnolie o un corso di paese chiassoso e pieno di luci psichedeliche. Dipende da chi si sceglie di seguire. Lo dico sempre, ognuno ha la TL che si merita.
La ragione per la quale seguo qualcuno è se i suoi tuit vanno al di là dei luoghi comuni che già leggo sugli E-zine, sulla posta di Libero, e ormai anche sui settimanali più importanti. Tutti vogliono stare sulla notizia e, come bambini a corto di parole, si passano le news fino a esaurirle, riducendo anche i temi più scottanti, in povere banalità.
Delle funzioni intestinali del mattino personalmente m’importa poco, così come del servizio meteo o se il bambino ha avuto il rigurgito.  


Su come diventare tuitstar hanno scritto già in tanti, e in parole spesso poverissime, quindi non dirò che per esserlo basta avere tantissimi follouer e pochi follouing, oltre a un numero esiguo di tuit.
Ma le tuitstar non sono tutte uguali.
Ci sono quelle di nome, quelle di culo e quelle di merito.
Su quelle di nome ho già scritto, alcune meritano e se seguirle ha un senso, fatelo, su altre ho molti dubbi, per cui poche moine, se non vi piacciono defollouatele e senza tante storie.
Quelle di “culo”, invece, sono la vera gramigna di tuitter.
Per la maggior parte blogger dell’ultima ora dal giudizio caustico (come se già non ce ne fossero a iosa), hanno la battuta facile e cavalcano l’onda del #TT e del luogo comune, sfornano ricette di vita e d’amore e ci accolgono con PIC straordinariamente originali, spesso con il medio alzato, e con bio salaci. Lo spirito di patata a ogni costo, quello da liceali dell’ultimo banco che niente ha a che vedere con l’ironia, lastrica la home delle suddette sempre (per carità) coperte da anonimato. Sono quelle che non fanno che rintuzzare le tuitstar di “nome”, tanto per accumulare follouer. Il loro atteggiamento sfrontato dice: io sò io voi nun sete un cazzo. Prima o poi pubblicheranno qualcosa, un manuale di sopravvivenza metropolitana che parla di gruppetti di giovani senza futuro ma dai grandi ideali messi al margine dalla società che non li vuole.
Insomma, sono geni incompresi che sanno come far girare il mondo e ancora non si sono accorti che dovrebbero prima far girare la propria vita.
Vanno d’insulto e si nutrono degli errori altrui. Piacciono ai propri simili che, vi garantisco, sono tantissimi.

Infine le mie preferite, le uniche che abbia senso seguire: le twitstar di merito.
Agili di dita, scrivono tuit esilaranti e si guadagnano i propri follouer con tempo e fatica. Hanno bio esilaranti ricopiate a iosa dai meno creativi. Fiori di campo, sono visibili come nontiscordardimé nel prato delle banalità 2.0. Spiritose ma anche romantiche, raccontano di sé includendo sempre il prossimo, sono taglienti, molte destinate al successo (che non è sempre popolarità) hanno accumulato follouer a forza di testa non di tattiche. Non tuittano di continuo perché si danno da fare, leggono, lavorano, studiano e scrivono. Usano tuitter per avere visibilità ma anche rapporti umani, anche se in questi ci credono poco. La maggior parte delle volte fanno giochi di parole e inventano storie deliziose in centoquarantacaratteri, quelle che pensi: ecco, questa l’avrei voluta scrivere io. Non hanno mai più di ventimila follouer e anche un buon numero di follouing, sono “star” di nascita e tuittere per caso. Scrivono di politica e tecnologie, di economia e musica. Sono generose, attente ai propri simili, interagiscono il giusto. Non seguono i #TT, li creano.



(P.S. io non sono una tuitstar ma cancello sempre le interazioni. Detesto scorrere una TL piena di emoticon e conversazioni. Cancello anche i tuit con poco senso, quelli che il giorno dopo li leggo e mi domando: cosa ho scritto?)

2 commenti:

  1. Letto questo più qualche altro, mi sembrano condivisibili e per quel che so giudicare io anche scritti molto bene.
    Il blog naturalmente rende molto meglio l'idea che ci si può fare nei limiti dei 140 caratteri. Avere la pazienza di andare a spulciarli spesso si rivela una buona scelta.
    Ciao @marinomarco

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  2. Avrei dovuto leggerti prima cara @Bibolotty, magari sarei diventato più ironico... che idiota. Lucky

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