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sabato 9 aprile 2011

Teresa e l'uomo in bianco


Non sa nemmeno come dirlo a me, a me che sono la sua sola amica, quella che le offre torte e che subisce il suo pianto, che fa salti mortali per scavalcare la città per tempo e scopre poi che le si è solo rotto il tacco, che la crisi di nervi è dovuta al fatto che l’abito rosso le sta troppo stretto.
Fa finta di niente la mia amica Teresa mentre ride leggermente, voltata di spalle, e si diverte nel ritardare la confessione, il segreto del sottile piacere provato nell’averne messo uno finalmente sotto i piedi, nell’aver goduto dell’imbarazzo della sconfitta, della delusione dipinta su quel viso, un tempo amato così tanto.
Ha anche il coraggio di gorgheggiare un sovracuto –torno subito- prima di dissolversi nel sole che luccica nella finestra alla fine del lungo corridoio, prima di scomparire del tutto dietro la porta del bagno.
I colori di Chagall alle pareti, e gli specchi, che qua e là offrono di me e della stanza diversi punti di vista, mi fanno ripensare alla girandola di buon umore che avvolgeva Teresa la prima volta che la vidi, mentre china su un baule di un negozio dell’usato cercavo una pochette per una festa a tema.
Mi accorsi di lei perché quasi cantava raccontando a una tizia la sua storia strana, confusa, così piena di digressioni e paradossi, da non poter credere che quel tipo che descriveva come un divo di Hollywood, l’avesse seguita veramente e poi fermata. E parlava di sguardi e cenni d’intesa, di particolari ammonimenti di sua nonna e dei possibili inganni per trattenere il maschio, e mi parve, e rimasi confusa, di essere d'improvviso in un mondo rosa confetto, nell’universo infantile, fragile e volubile, di chi di continuo da asilo all’amore.
Nel magico mondo di chi l’amore lo inventa in qualsiasi momento e così lo distrugge.
E al termine esatto di questo breve ricordo, riappare Teresa dai colori vivaci in un lungo chimono con samurai e pappagalli dipinti.
Ha un che di diverso dipinto sul viso perché mi guarda ma non sorride.
Puntando alla meglio bacchette e matite fra i ricci finalmente mi dice
«Ricordi Francesco?»
«nome troppo diffuso» le dico e timidamente domando un altro elemento, come in un gioco a quiz della buonanima di Mike Buongiorno.
«ricordi quello che mi ha tenuta sulla corda per tre mesi con quel generico -ti chiamo-?»
Porca miseria Terè e dammi qualche altro elemento! Mi viene da dire ma vario con un più gentile «proprio non ricordo».
Guarda in alto e cerca il terzo indizio, inspira profondamente e d’un fiato espira l’enigma
«Francesco, quello che quando ci uscii scoprii che vedeva solo action moovie, e che lavorava per una società creditizia, e che in piena notte gli prendeva il panico per la caduta o l’improvvisa ascesa dei titoli di borsa»
E  mi batto la mano alla fronte visto il risultato che quella relazione infausta aveva prodotto nella fragile Teresa che grazie a lui, prese sei chili e si riempì di brufoli dopo essersi saziata solo di caramelle Mou e cannoli per una settimana.
E inizia a ridere, e sembra non fermarsi più, come se tutta la gioia ricevuta da quei dolci in un tempo lontano e per fortuna già dimenticato, fosse rientrata in circolo all’improvviso, come l’effetto di uno stupefacente dopo una lunga corsa o dopo aver fatto sesso.
Ma solo alla fine del racconto riesco a capire fino in fondo.
«C’è soddisfazione» dice Teresa ancora accaldata da quell’improvviso furore, «quando hai sotto gli  occhi i suoi, ancora incoscienti, quando più lui insiste più lo guardi indifferente...»
e si passò la lingua sulle labbra, come quando in gelateria si fa riempire il cono di panna.
«non lo sapevo, ma si prova piacere nel vedere la speranza sbiadire sul viso e che lentamente diventa sconfitta...»
E versa limonata sul ghiaccio che per un solo istante fuma.
«Francesco chiedeva e io mi negavo, Francesco pregava e quasi ridevo, è anche inciampato correndomi dietro quell’uomo arrogante vestito alla moda»
«Si chiama vendetta!» le faccio notare.
«Lo so, e mi piace!» risponde felice.

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