Ho avuto molti amori e alcuni inutili, pochi a dire la
verità.
Quelli che ho dimenticato per vederli riaffiorare in strada
e senza un perché, senza nome né storia, semplicemente come un azzurro intenso
di occhi o l’intercalare che sì, mi ricorda proprio quel tizio senza nome che
pure mi ha baciata tenendo le mani sudate nel chiodo, che tremava e non sapeva
che fare, lì sotto il tunnel della stazione, in un dopo pranzo torrido di fine
estate.
Di lui non ricordo nemmeno dove abitasse, forse la scuola sì, quella
da cui uscivano sempre bei ragazzi e che mi era proibito avvicinare perché
c’insegnava mia madre.
Perché mi hanno fabbricata con la strana propensione a innamorarmi
di chiunque abbia una buona ragione per non ricambiarmi o per essermi ostile:
si chiama Karma o destino, forse carattere, fate voi.
Il problema è che non credo di aver mai passato un giorno
della mia vita senza avere accanto un uomo: fidanzatino, ragazzo, boy, marito,
convivente, amante. Me ne vergogno, tanto, e comunque ho cercato di evitarlo,
ma ognuno ha la sua via, e la mia è stata quella di dovermi sempre confrontare
con l’altro, spesso lontano, immaginario, meglio se assente, ma comunque ombra costante
e ostacolo alla mia autonomia di donna.
Forse si chiamava Francesco, il tizio, mi pare, e somigliava
a Iggy Pop. Beh, gli somigliava appena visto che aveva labbra che parevano un
bocciolo di rosa all’alba e la pelle liscia e bianca come quella di un neonato.
Perché a sedici anni si ha quella faccia lì, i denti ancora
da latte nonostante le prime sigarette e l’erba, e la birra che buttavamo giù
al bar dell’angolo fino a sentirci male e sempre prima del compito di greco.
Credo di non averlo mai studiato il greco.
Penso di essermi rivenduta anche i libri e il grosso e maledetto
vocabolario.
Ma avevo un insegnante molto comprensivo, all’epoca stanco
ma un tempo straordinario, che preferiva distribuire un bel sei politico
piuttosto che spiegarci le ragioni per cui sarebbe stato assai più utile
studiare, e io, che lavoravo a maglia nell’ultima fila, sotto i cappotti, me lo
meritavo proprio tutto quel voto.
Ero la rappresentante ufficiale dei talentuosi senza
volontà, quella del dieci in italiano e il due in chimica: la ragazzina diversa
di cui diffidare.
Quella che se la faceva con quelli di terzo. Che se poi era
solo per ascoltare musica nel sottoscala poco importava: il marchio a fuoco fa
ancora parte della nostro vivere sociale. Anche se si sono fatti più colti non
dimenticano mai chi sei. Gli stessi che non mi passavano la versione, credo. Quelli
delle scritte calunniose nei cessi e la figuraccia pubblica a una festa di
compleanno, davanti ai genitori.
Ero la pietra dello scandalo, o solo quella che in molti avrebbero voluto avere.
Comunque, se loro non mi volevano con il mio chiodo nero e
gli anfibi londinesi e il mio amore per la Beat Generation e il teatro, ebbene
io avevo un mondo enorme da esplorare.
Se il mio margine era la loro incapacità di capire e vedere
al di là della propria dedizione verso le lingue morte, allora il mio rifugio sarebbe
stato Francesco o come si chiamava e le infinite ore inutili sotto il magnolio di
fronte al liceo vuoto, a parlare di Nietzsche che avevamo letto appena, ma che
così fuori dagli schemi ci pareva il solo a poterci capire, lui e i suoi
baffoni, e la sua aria antica.
Tra i cocci di bottiglia e le sigarette spezzate nelle
tasche scucite, io e il mio ragazzo dimenticato ci scambiavamo timide occhiate,
eravamo simili nella nostra malinconia immotivata, nella ribellione irrazionale
verso chi e cosa ancora non ci era chiaro.
Dovevamo ancora capirlo il mondo. Scoprirlo quantomeno.
Forse, imparare a leggerlo.
Perché a sedici anni siamo solo energia in potenza, un
motore da accendere, un nucleo di capacità ancora tutte da sperimentare.
Sono stata fortunata, io.
Nonostante l’autostop e le passeggiate notturne in solitaria, nonostante la mia aria da ragazzina ribelle e navigata, le risposte pronte e il
“vaffa” sempre a fior di labbra, nessuno mi ha pugnalata.
Nonostante la mia propensione al rischio, io, non sono morta
ammazzata, al ritorno da scuola, nel portone di casa e dalla mano armata del
mio ragazzo inutile.
(Foto di: Nini Truden)
Nessun commento:
Posta un commento