Lei e il Signor P. si vedevano, soltanto di notte, nel
piccolo appartamento in via degli Ibernesi dove Miriam viveva, una stradina chiusa
al traffico che curva morbida dall’arco del palazzo del Grillo sino alle scale
che scendono su via Baccina, a Monti.
Di norma due volte la settimana, lui decideva quando e se,
le faceva uno squillo per dirle di aspettare in casa e che prima o poi sarebbe
arrivato.
Così da un paio d’anni.
Dopo quei tre monosillabi e l’ordine insindacabile di non
muoversi da lì, la donna scendeva a comprare qualcosa per cena e poi sedeva
sull’ampio davanzale, in attesa, e guardava il sole arrossare i fori o la luna
imbiancare il Campidoglio con sottofondo pop romantico italiano.
Leva quella robaccia che ti fa andare il cervello in pappa.
Amore, cuore, dolore... robaccia per donnine stupide!, iniziava a dire entrando in
casa e prima del consueto giro di ricognizione.
Perché il Signor P. aveva l’abitudine, ancora con paltò e quotidiani
sotto il braccio, di verificare per primo il lavello della cucina dove mal
sopportava di trovare rimasugli di cibo così come tracce di calcare.
Non hai imparto un cazzo!, aggiungeva con espressione di
chiaro disprezzo se trovava la pasta fuori dai barattoli o la marmellata fuori
dal frigo o il tappetino del bagno appena appena umido.
Sei una bambina cretina! diceva ancora, come parlando
tra sé, mentre già che c’era dava uno sguardo anche agli armadi e ai cassetti
della biancheria: sei sciatta!, disattenta, una povera imbecille!, concludeva serio, guardandola come se avesse commesso il più efferato dei delitti.
Se Miriam reagiva nel modo giusto, P. poteva decidere di
punirla in maniera commisurata all’errore, o lasciarla in ginocchio al centro
della stanza, nuda, mentre lui, prima di andarsene senza salutare, mangiava, leggeva i
quotidiani o guardava la tivvù.
Una volta, il Signor P. lanciò la frittata contro il muro e
non si fece più sentire per un mese. Solo in seguito scoprì che era stata la
cipolla a dargli noia: una submisive deve essere perfetta, Miriam, le aveva lasciato
detto sulla segreteria telefonica.
Dopo quella lunga assenza, comparve senza preavviso sulla
porta e con un paio di biglietti per la Turandot.
Quella, Miriam ha conservato persino la ricevuta del taxi, fu una
serata perfetta.
O quasi.
Il Signor P. arrivò nel tardo pomeriggio e scelse per lei l’abito
che avrebbe indossato. Per evitare perdite di tempo aveva comprato più paia di
calze e di diverse sfumature di grigio.
Dopo averle preparato il bagno, lavato la schiena, asciugato
con cura i capelli e pettinati come piacevano a lui -legati stretti sulla nuca
e pieni di fermagli affinché nemmeno un ricciolo potesse ribellarsi al suo
volere- l’aveva vestita da capo a piedi compresi i gioielli. Un giro di perle e
basta.
Arrivati a Caracalla le aveva preso la mano e baciata più
volte, quasi quella fosse una storia normale, un rapporto di libero scambio e
di amore.
Dopo, mentre Miriam saltellava verso il portone come una
bambina, P. le aveva annunciato che sarebbe tornato a casa e che ne aveva
abbastanza di lei per quella sera.
Dopo tanta gioia il dolore è necessario, aveva detto con una
certa indifferenza e tenendosi a qualche metro di distanza, mentre gli occhi di
lei si facevano liquidi nel buio dell’androne.
Così, il grande giorno era arrivato.
Per i suoi trentasette anni Miriam aveva organizzato una
festa, un drink per gli amici più cari alla vineria di Via dei Serpenti.
Dopo la Turandot sarebbe stata la prima volta che si
vedevano fuori dal suo appartamento.
Aveva tirato fuori un vecchio abito di nonna in crepe de
Chine rosso ciliegia che ben si adattava alla sua corporatura esile e alla
pelle bruna.
Era andata dal parrucchiere e dall’estetista, aveva comprato
un paio di sandali gioiello alti al punto giusto e aveva fatto attenzione
affinché niente, nemmeno lo smalto che aveva ai piedi, potesse dispiacergli.
P. era stato chiaro.
Togliti quella robaccia dal viso!, le diceva, e Miriam correva
a struccarsi.
Piantala di vestirti da troia!, e Miriam dava via ogni abito
troppo aderente o troppo corto.
Non sei un maschio, cazzo, metti i tacchi!, e Miriam chiudeva
nel baule i suoi vecchi e cari anfibi londinesi.
L’appuntamento con gli altri era alle nove mentre P. le
aveva promesso che sarebbe arrivato appena finito in redazione.
Vengo, vengo, le aveva detto spazientito al telefono, e
aveva aggiunto un ben augurale: Sei una donna lagnosa e stupida!, non so chi me
lo fa fare a venire.
Passate le dieci Miriam vide P. attraverso la vetrina.
Era al telefono e faceva un sacco di moine.
Forse parlava con sua moglie o con il figlio, pensava la
festeggiata mentre scartava regali e raccontava agli amici di sé e del lavoro e
di tutta la quantità di cose belle che le stavano capitando in quelle
settimane.
P. entrò in vineria visibilmente scuro in viso.
Poi, presentandosi agli amici cambiò espressione e mood,
riservando a Miriam pochi sguardi e tutti ostili.
Così, la donna cercò di far passare il più rapidamente
possibile quell’ora e salutati gli amici si avviò verso casa con il Signor P.
che le camminava accanto in silenzio, come in silenzio salì le scale e in silenzio
fece il rituale giro di ricognizione.
L’avrebbe lasciata lì da sola proprio in quella serata
speciale?
Era da lui, sì, era una possibilità da non scartare.
Oppure l’avrebbe messa faccia nel lavello affinché tirasse
via con la lingua anche la più piccola briciola di pane? Magari una
microscopica mollichina rimasta incastrata nel maledetto tubo di scarico?
Tremava e si domandava cosa aveva combinato stavolta di cui
non si era resa conto.
Adesso levati di dosso quella roba, e Miriam si spogliò,
aspettando ogni volta il suo assenso, Voltati e piegati sul tavolo.
Immobile!, e P. lanciò la sua giacca sul divano.
E non voglio sentire un respiro, nemmeno uno, aggiunse l’uomo
chinandosi sul corpo di lei che già fremeva.
I colpi furono tanti e tutti diversi.
Diverse la pause tra uno e l’altro, più lunghe o brevissime,
dilatate e calme le parole pronunciate ora con tenerezza ora con furore, in un
tempo dal ritmo imprevedibile e incostante.
Quando il Signor P. sedette sul divano e le ordinò un
bicchiere di bourbon Miriam sentiva solo un intenso e sottilissimo bruciore,
che partiva dai talloni per arrivare alla nuca.
Ti basterà almeno per tre settimane, le disse, e adesso,
prova a immaginare cosa dovrai subire per arrivare alla perfezione.
Miram s’inginocchiò e gli passò la lingua sulle scarpe.
Bene, disse lui, Forse cominci a ragionare.
Nessun commento:
Posta un commento