Secoli fa al Festival di Taormina recitai in uno spettacolo
con la regia di Walter Manfré dal titolo “Le confessioni”. La pièce, all’epoca piuttosto
sperimentale, consisteva nel monologo iniziale di un prete sui generis interpretato
da Lino Capolicchio, recitato a ventiquattro spettatori, divisi in numero pari
tra uomini e donne e seduti ognuno accanto a un inginocchiatoio. Noi attori, ventiquattro,
e sempre divisi per genere, recitavamo i nostri peccati/monologhi cambiando ogni
volta spettatore al suono di una campanella.
Sorvolando sull’esperienza in sé, il divertimento di stare a
pochi centimetri dallo spettatore, gli interventi sconclusionati degli stessi e
la compassione sincera che leggevo nei loro occhi, ciò che capitava a tutti era
che, giunti più o meno alla sesta confessione, avevamo la sensazione di aver
già ripetuto la stessa parte e allo stesso spettatore.
Qualcuno entrava in confusione e si guardava attorno
indeciso. Una volta una collega si alzò e sparò il colpo di pistola finale e
non eravamo che all’ottavo monologo.
Era ovvio che avessimo la sensazione di aver già recitato il
brano: di fatto era così.
La stessa cosa mi pare di vivere su Twitter.
Al di là degli hashtag come #sapevatelo al quale soprattutto
i neofiti si affezionano, o ai triti e ritriti “c’è una vita al di fuori di
Twitter”, o il “se non twitto non sono morta, semplicemente vivo” eccetera, il
tormentone più in voga è di condannare l’Ego altrui e di vedere, nel narcisismo
praticato sui social media, una malattia epocale. Se anche fossi perfettamente
d’accordo, e lo sono, penso che, lanciato da un
social, questo allarme risulti più come uno “spostati da qui perché il tuo ego mi
fai ombra”.
Credo si debba prendere atto che ciò che prima era
appannaggio di pochi, ossia il mezzo di comunicazione, oggi è alla portata di
tutti. Certo, non tutti sono in grado comunicare in modo efficace, non tutti
tirano fuori tuit esilaranti, non tutti sono tuitstar... ma molti possono
diventarlo. E il fatto che alcuni utenti come blogger e scrittori esordienti,
vengano chiamati sempre più spesso a partecipare a trasmissioni televisione, ne
è una prova.
Questa è una realtà incontrovertibile, che porta sempre più
persone a sgomitare per raggiungere la meta, che in questo caso consiste
nell’ottenere più follouer e quindi più consenso.
Qualunque sia il nostro mestiere siamo qui a rosicchiare
fette di pubblico, a guadagnarci RT tuffandoci gagliardi nell’onda anomala del
#TT con giudizi tranchant, ironici a ogni costo, simpatici o pieni di doppi
sensi.
Che il consenso che cerchiamo sia affettivo o letterario alla
fine poco importa. Che ci sia qualcuno che frequenta tuitter solo per fare
amicizia o perdere un po’ di tempo poi, è un’eccezione.
In un pugno di anni, l’intellettuale, artista, pittore,
attore o musicista, da “eccellenza” di grande esperienza e Guru autoritario, si
è ritrovato circondato da sconosciuti spesso nascosti dall’anonimato che,
scartabellando rapidamente le vaghe informazioni del web, sono in grado di
rispondere prontamente alle provocazioni e di millantare (non sempre) una
cultura impeccabile. Ciò crea una sensazione di disagio che mette i primi,
quelli che hanno studiato e hanno fatto gavetta, nella condizione di denunciare
il narcisismo diffuso e a loro avviso immotivato: non c’è nome, non c’è
curriculum, non c’è ragione e così via, e gli altri, quelli che accumulano
follouer sulla base del nulla, nella posizione di doversi difendere: ma chi cazzo
TI credi di essere?
Il rispetto per l’effettiva statura dell’altro o la sua
esperienza, la considerazione dell’altro da sé più in generale e quindi la
capacità di stare zitti ad ascoltare, qualunque sia l’esperienza del nostro
interlocutore, viene completamente annullata dal fatto che chiunque,
vigliaccamente, può dire la propria opinione e trovare approvazione in un vasto
pubblico di propri pari.
Il narcisismo su #Twitter può diventare veramente patologico
e trasformarsi in disagio prima in odio poi, e se “odio” vi pare una parola troppo
forte sappiate che questi tizi sono già stati battezzati in rete come “Hater”.
#Twitter è perciò l’esempio lampante di come dal nulla si può creare il nulla
sentendosi qualcuno.
Qualsiasi argomento può rischiare di accendere la miccia
dell’odio collettivo che, malvestito da “ironia”, da l’opportunità a migliaia d’imbecilli
di ottenere consenso da altrettanti imbecilli. Perché fateci caso, sono sempre i
centoquaranta caratteri più cattivi, più disumani e condannabili i più
Rituittati.
È la lite, è il dissenso, è la capacità di dire: tu non
capisci un cazzo, al giornalista di turno che ci fa sentire protagonisti di
un’esistenza il più delle volte, purtroppo, fallimentare.
Gillo Dorfles in un articolo illuminante dal titolo
“Ipertrofia dell’io: egocentrismo o intolleranza?” scrive: “Tolleranza non è che ammettere che il
prossimo possa essere in buona fede; che il proprio comportamento possa
risultare altrettanto sgradevole di quello altrui; che gli errori degli altri
non siano forse maggiori dei nostri, ecc. Ma significa anche: non inalberarsi
se il prossimo non condivide i nostri gusti, le nostre inclinazioni
socio-politiche-religiose, ecc”.
Ancora una volta la colpa è di chi ha gettato questo #Paese
nell’anarchia, che ha deregolamentato l’accesso al mondo del lavoro, il poco
che c’è, facendoci credere che basta il colpo di fortuna e l’accumulo di
follouers a fare di noi un “personaggio”. La responsabilità è dei critici, dei
giornalisti e di tanti intellettuali che si sono accontentati di mantenere
intatto il proprio nome e il proprio posto di lavoro anziché analizzare
seriamente e denunciare, ciò che a partire dagli anni ottanta ci ha condotto
all’intolleranza verso chiunque la pensi diversamente da noi. E se
recuperassimo anche un po’ di buona dialettica anziché chiudere qualsiasi
conversazione con un volgare “sticazzi”, potremmo forse imparare a rigeneraci e
a distinguere chi veramente “sa” da chi semplicemente “mostra”.
A volte mi sento un alieno, mi fanno sentire un alieno...
RispondiEliminaChi?
Un pò tutti...
Le persone che "sanno" tutto...
Quelle che quando chiedo delucidazioni, mi guardano come se fossi, appunto un alieno, quelle che spronate dalla mia insistente curiosità, mi guardano con lo smarrimento dell'ignoranza...
E' brutto scoprire la superficialità delle persone...
Io non ho paura, quando mi trovo coinvolto in una discussione e l'argomento trattato mi è sconosciuto, lo dico subito, poi se la cosa mi incuriosisce, seguo e spero di trovare interlocutori che, primo, sappiano ciò di cui parlano e, secondo, abbiano la voglia/pazienza di sopportare le mie domande...
Raro...
Rarissimo...
Il più delle volte mi tengo la curiosità, per soddisfarla una volta a casa e aperta l'enciclopedia...
Perché è così difficile dire: Non lo so?
Non lo so...
Chiederò.
"Dal nulla si può creare il nulla sentendosi qualcuno." Bellissimo. Quindi io che spesso mando a fare in culo qualche potente di turno, dici che mi sento qualcuno, dall'alto della mia nullità? Da ora in avanti prometto: Mi voglio , come tu dici, rigenerare, per vedere se fino ad oggi ho mostrato, oppure ho finto di sapere. Comunque bella Deriva, complimenti, brava. Lucky
RispondiEliminaRompibloglioni aggiunge una nota personale che è in sintonia con l'argomento della Deriva:Argomento trattato con competenza e sufficiente distacco.La sintesi la fa l'autrice quando afferma che occorre recuperare "un po'di buona dialettica"ma tutto viene ricondotto nell'alveo del così è se vi piace:dal commento (anonimo)che segue incavolato:"quindi io che mando" etc etc e ancora"dall'alto della mia nullità"etc etc e conclude con,brava Lucky. Non credo ai miracoli il malcostume e l'ignoranza maldicente sono state sempre una piaga nella società di ogni tempo e tali resteranno:A meno che un (se volete aggiungete Voi) miracolo?
RispondiEliminaHo letto con interesse e molta curiosità, oltre ai complimenti un grazie, un grazie perché ora so essere un'eccezione per l'uso che faccio dei social.
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