Già trovare parcheggio è un’impresa, nel dedalo di vie del garage
multilevel che sa di asfalto, pneumatici e gasolio, dove ci si perde alla
ricerca di un ascensore che non porta da nessuna parte: l’ingresso è di là,
giusto.
Scendiamo anche noi seguendo il gregge entusiasta e
chiassoso con infradito e bermuda.
Cani minuscoli infilati nelle borsette che guaiscono
giustamente nevrotizzati dalla calca. Neonati esposti al gelo dell’aria
condizionata sparata al massimo come la musica che non mi da tregua nemmeno nei
bagni, dove mi rifugio per fare il punto della situazione, dove provo a darmi
una risposta sul perché di quest’uscita domenicale, gli occhi già arrossati
dalle luci al neon, l’odore di pizza e kebab misto a quella dei tester di
profumi dozzinali.
Poco rassicuranti uomini della sicurezza che non forniscono
indicazioni, ma si aggirano tra la folla, riconoscibili dagli abiti neri e gli auricolari
alla Matrix, Mr Smith dei poveri, guardiani di un inferno domenicale romano in
uno dei centri commerciali più grandi della capitale.
Avevo erroneamente sperato sarebbero andati tutti al mare e
io dal mare sono venuta in città.
Idiota.
Invece c’è folla, c’è gente dappertutto, c’è chi si chiama
con il cellulare per parlare da un tavolo all’altro.
Scegliamo un kebab al piatto, tanto per omologarci agli
altri imbecilli che tra meno di mezz’ora si aggireranno come zombie afflitti da
sete e mal di pancia.
Entriamo nelle boutique senza riuscire a comprare niente: ho
tutto, mi serve soltanto il mio computer e un po’ di silenzio, la stanza vuota,
dove ieri sera ho lasciato i due amanti, l’appartamento della donna nel
quartiere Prati alle sette del pomeriggio di un imbrunire di maggio.
Invece mi trovo in un paesaggio dantesco, tra gruppi di
adolescenti che urlano per un nonnulla, che si chiamano tra loro con epiteti
volgari. Guardo le commesse svogliate, incazzate e stanche di un lavoro
evidentemente mal retribuito, un contratto a termine, un contratto di
formazione cui seguirà il licenziamento, come per i dipendenti dei supermercati
PAM, che si aggirano distribuendo volantini di protesta che non serviranno a
niente.
Disgustosi afrori estivi prodotti da magliette di acrilico a
basso costo e che saranno oggi stesso sostituite da altre magliette a basso
costo che produrranno dopo un’ora lo stesso effetto.
Roba dozzinale tutta uguale, tutta prodotta dalle mani dei
nuovi schiavi, cambia solo la marca e non c’è scelta.
Mi guardo intorno e so che l’inferno in terra esiste.
Mi sento Anna Karenina nella sua ultima scena in stazione,
quando si allontana dalla folla come dai lebbrosi: rumore, gridìo, e risa.
Eppure tutti sono felici, a proprio agio, anche l’anziano che lecca
il cono gelato, anche la bambina mostruosa, imbellettata come una scimmietta
circense, la coroncina piena di fiori stretta sulla testolina e lo sguardo
ilare che guarda il nulla.
Perché non c’è nulla da guardare, nulla da desiderare in un
luogo come questo, se non la fuga immediata.
“E la candela con la
quale ella leggeva il libro pieno di ansie, di inganni, di dolore e di male,
s’infiammò d’una luce più vivida che non mai, le illuminò tutto quello che
prima era nelle tenebre, scoppiettò, cominciò a oscurarsi e si spense per
sempre”.
Il mio primo centro commerciale ora è superato dai tempi, ma si può visitare ancora, in provincia di Verona. Altri ne sono seguiti, e non li ho mai demonizzati o, all’opposto, fatti diventare la nuove cattedrali. Li evito nei momenti di punta, o la domenica, o durante i giorni che precedono Pasqua e Natale, se posso. Per il resto mi incuriosiscono, mi deludono puntualmente nella omologazione delle merci esposte, compro quanto mi serve, e mi spiace da morire che stiano uccidendo i nostri centri storici, assieme alla dissennata liberalizzazione degli orari di apertura di ogni piccola bottega e alla crisi economica che spinge pure il ceto medio a comprare dove prima andava solo chi aveva difficoltà.
RispondiEliminaIo evito, se posso, non solo i centri commerciali in certe situazioni, ma anche le feste cittadine troppo affollate, le spiagge con gli ombrelloni in fila e la confusione. Meglio un parco, o una piccola casetta in montagna, o una spiaggetta privata o almeno poco affollata…ma restano sogni…Silvano.