Ho abitato dodici case da quando sono espatriata dalla mia
città natale.
Sono nata quando avere una proprietà, ti destinava al
marchio infame di privilegiato, indegna anche di stare in Piazza Umberto tra i
compagni, mi ritrovo oggi, tra migliaia di offerte di acquisto, a entrare in
casa d’altri e leggere negli occhi di ognuno la vana speranza di un’offerta.
Gli annunci immobiliari non corrispondono mai a ciò che
vedrò varcata la soglia di una porta che promette bene e non mantiene mai, eppure,
l’universo che essa racchiude mi commuove ogni volta.
Sono case piene di dignità, minuscoli
regni di chi ha riposto lì proprio ogni speranza, che tra quelle quattro mura
destinate a figli e nipoti ha vissuto un presente appesantito dalla rata del
mutuo e un futuro di vincite alla lotteria. Microcosmi colorati suddivisi in
minuscole celle, composti di disimpegni inutili e inutili corridoi, Feng Shui
casalinghi letti sulle riviste femminili, muri fantasiosamente colorati di
giallo, blu e arancione, acquari senza pesci, troll e
fatine ben spolverati messi in fila sul camino sempre spento, perché un camino
non ha proprio senso in un appartamento al quarto piano senza ascensore. Bambole,
nani da giardino disposti con cura sul prato, piastrelle tirate a lucido per la
visita dei clienti, mattonelle applicate e lavorate in rilievo, tendaggi,
poltrone massicce occupano ogni millimetro.
Con religiosa deferenza porgo la mano a gente sconosciuta che
ci segue silenziosa, il televisore acceso sul talk show pomeridiano, sussidiari
e quaderni sparsi sul tavolo da pranzo, l’onnipresente centro tavola ricamato e
la frutta finta, il letto massiccio a meno di un passo dall’armadio troppo
grande e scuro. Ovunque oggetti, ninnoli che non si ribelleranno mai alla propria
natura di cose di poco valore.
Chi arriverà dopo di noi troverà un’immensa discarica di
nulla, di cestini di vimini sempre pieni di qualcosa, vecchie custodie di
cellulari, porta occhiali, accendini rotti, penne senza inchiostro e tappi di
bottiglia.
Cose scolorite occupano anche balconi e sottoscala, memoria
di chissà quando e chissà che, inutili e dimenticati.
Bicchieri e servizi da tè messi in mostra come nella vetrina
di un bazar, nell’antica usanza contadina che ciò che è buono si mette via per
momenti migliori, per il tempo che verrà.
Un televisore al plasma incombe in ogni stanza, anche se i
vani sono soltanto tre.
Gli scaffali stanno lì ad accumulare trofei. Marmottine
imbalsamate, madonnine scolorite, vasi cinesi e fiori di plastica. Non un
libro. Nemmeno la bibbia. Sul comodino la settimana enigmistica, il sudoku o il
settimanale scandalistico.
Ogni casa ha il suo odore speciale e sconosciuto, e mi
rimane addosso per giorni come la vita che c’è dentro. L’odore del respiro
profondo della notte e del riposo. L’odore di vecchio della casa dei vecchi,
l’odore di latte nelle case dei neo sposi. Il triciclo triste sul terrazzino un
metro per due. Scarpe e panni stesi ad asciugare all’ombra grande condominio di
fronte che incombe sulla palazzina a due piani.
Eppure l’annuncio diceva: graziosissimo trilocale, spazioso,
ottima esposizione.
Forse intendeva esposizione alla critica e al commento... Lucky
RispondiEliminaAnch'io giro in questi giorni per trilocali... ci sarà crisi ma vogliono tutti una barca di soldi...
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