Dopo tre anni di silenzio mi ero decisa. Ero capitata lì per
caso, se proprio si vuol credere che il caso esista. Non lo avevo nemmeno avvertito,
come facevo di solito, inviandogli una e mail che annunciava la mia visita.
Stavolta avevo soltanto consultato gli orari delle lezioni e poi, casualmente,
mi ero ritrovata in zona, proprio durante la pausa pranzo, dopo aver sbagliato
fermata della metro.
La facoltà era sempre lì, sotto l’ombra degli alti platani,
al termine del vialetto di lavanda ombreggiato dal salice frondoso.
Qualcuno deve averli pur piantati quei cespugli di lavanda, gli
dicevo ogni volta, ma lui preferiva scuotere la testa, negare, pensare che ci
fossero sempre stati.
Che differenza farebbe, gli dissi una volta, cosa ci sarebbe
di strano se qualcuno li avesse piantati lì proprio per te.
Nessuna, rispondeva, ma non è così, e si alzava dalla panchina dove
normalmente ci fermavamo a chiacchierare del tempo, dell’amore, del programma
di studi, e dell’ultimo saggio pubblicato da un collega.
Intorno a quelle piante di lavanda c’era un segreto che non
mi voleva svelare. Ogni volta che sollevavo l’argomento, il suo sguardo si
animava di una strana impazienza.
Come un vecchio abitudinario, il professore era seduto lì
anche quel giorno. Sulla nostra panchina, il solito pezzo di pizza bianca triste
tra le mani e la cartella di cuoio, sempre quella, appoggiata allo schienale,
aperta.
Sembrava ancora più esile, consumato dagli anni come il
loden che portava addosso.
Non aveva mai dato peso all’aspetto esteriore, credo anzi di
non averlo mai visto con pantaloni diversi da quelli, o forse, avevo sempre
pensato, li comprava in serie. Come le camicie e i pullover, grigi, marroni e
neri, mai un rombo o una riga. Una vita a tinta unita, una calma apparente che
nascondeva chissà quante passioni clandestine.
Come stai?, disse allargando le braccia in un gesto di
accogliente meraviglia.
Professore, feci io, lasciandomi andare commossa al suo abbraccio.
Professore sto bene, sussurrai alla stoffa del suo cappotto,
alla pelle ruvida e olivastra che sapeva di talco e di colonia inglese.
Dove eravamo rimasti?, mi disse poi, prendendomi per mano e
conducendomi a sedere.
Eravamo rimasti al tempo che si ferma quando sono con te, ai
segreti che non mi hai mai svelato, a tutte quelle domande che mi avevi giurato
avrebbero trovato risposta, al senso della vita che sta nelle piccole cose,
negli affetti che non si esauriscono mai, negli amori, che se non consumati
ardono in eterno. Eravamo rimasti al cane che volevi adottare, al figlio che
non hai mai avuto, alla realizzazione che non hai mai cercato.
Eravamo rimasti a Therry e al tuo viaggio a Parigi!, disse invece
lui, battendosi la mano sulla coscia e sul pantalone di velluto a coste.
Così gli feci un riassunto di quei tre anni a Parigi, della
nuova casa in periferia, della mia nuova vita, della mia famiglia e di quella
di Therry, del lavoro, delle traduzioni, delle mode letterarie.
Ma tu, come stai?, insisté scorrendo con l’indice, alla
ricerca forse di un indizio, la mia guancia arrossata dal freddo.
Vuoi una risposta di circostanza o una risposta vera?
Io voglio sempre risposte vere. E mi sorrise, mettendosi in
attesa.
Sono infelice, professore. La realtà non è quella che tu mi
hai insegnato a leggere e ad amare. Non esiste, tra tanti punti di vista,
quello che corrisponde al mio, nemmeno uno, che gli assomigli almeno in parte.
Mi sento isolata, inascoltata e triste.
No, non gli avevo detto tutto, non gli avrei mai confessato
che la vita che avevo scelto era soltanto un ripiego, che mio marito era una
persona splendida che però non amavo, un’occasione presa al volo per tamponare
la ferita, un modo rapido e indolore per andare via dall’Italia e scappare
lontano da lui.
Non è facile per nessuno, disse ripiegando con cura i lembi
della carta in cui era avvolto ciò che rimaneva della pizza. A nessuno viene
regalato niente.
Non ci credevo, e con un lieve gesto di stizza gli mostrai
il mio dissenso.
È così, insisté lui, o almeno devi provare a crederci, per
non soffrire, e per non smettere di sognare.
Per non smettere di sognare o di illudermi?, ribattei con
tono leggermente polemico.
Non rispose, come faceva sempre per non ferirmi, per non
dirmi: hai ragione, la vita si svolge ai piani alti e a te vengono lanciati soltanto
gli avanzi del banchetto.
Vuoi saperla proprio la storia della lavanda?, voleva
cambiare argomento.
Lo guardai felice.
Prese tempo.
Su quaranta specie qui ce ne sono soltanto tre. Negli anni
sembrano essersi confuse tra loro, ma a guardarle da vicino sono molto diverse.
La lavanda ha radici forti, più terra le dai più ne prende, e cresce a
dismisura. Un po’ come l’amore, che è meglio tenerlo alla larga quando non si è
certi di averne dentro abbastanza. Se non si è convinti di poterne dare via a
sufficienza, senza sentirsi completamente nudi. Parlo dell’amore passionale, egoista
ed esclusivo.
Al contrario dell’amore la lavanda non va curata, è un
arbusto che cresce spontaneo, è indipendente, basta a se stesso. La lavanda ha
proprietà curative, mentre l’amore il più delle volte ammala, soprattutto
quando è diretto a un cuore arido, o a un vecchio ed egoista professore di
filosofia.
Guardò l’orologio.
È ora di andare, ho lezione tra sei minuti, disse alzandosi dalla
panchina.
Lo accompagnai fino all’ingresso dell’Istituto, poi lo
seguii su per le scale, fino all’aula, dove fu subito circondato dai
suoi studenti. Provai invidia per loro, forse una punta d’odio.
Mi strinsi nel cappotto e feci per andare via.
Viola!, mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi la sua mano
ampia salutarmi sopra delle teste dei ragazzi.
io so invidiare chi appare felice anche se l'egoismo mi frena, e so che la realtà è spesso diversa. ed ammiro la capacità di provare e di descrivere la tenerezza. Silvano C.
RispondiEliminaMi sembra di essere seduto accanto a loro e di sentirli parlare e ricordare,mentre gli arbusti di lavanda emanano il loro profumo. Viola parla e ricorda consapevole del fatto che una stagione della sua vita è trascorsa:il vecchio professore l'ascolta e con lieve distacco l'aiuta a riprendere il corso della sua vita. Bello mi piace ci torno di tanto in tanto e ogni volta trovo qualcosa di nuovo.
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