Lì si chiamano tutte così, Lalla, Manu, Stefi. Fede.
È seria. Solleva gli occhi nocciola dai miei piedi, come le
fosse balenata un’idea o avesse scordato qualcosa.
Mi guarda di nuovo.
È urgente, è successo qualcosa di grave.
Che c’è?, la incoraggio a parlare.
Stringe gli occhi come per una fitta di dolore e s’incupisce.
Ha anche smesso di masticare la gomma.
Poi tira su un bel respiro e prova a dire.
No, niente, conclude delusa prima di riprendere in mano lo
smalto trasparente.
Scuote la testa un paio di volte. Rimproverandosi forse per
l’ardire.
Lalla è contrariata nonostante ci sia il sole. Perché lei è
meteoropatica. Così dice quando prova a giustificare il suo cattivo umore.
Dare la colpa al tempo è un buon modo per passare oltre, un
diversivo, un trucco per evitare di scavare a fondo in un malessere che da
passeggero può diventare cronico. Malinconia che nasconde disamore, noia,
scontentezza, infelicità esistenziale.
“Chi siamo, cosa facciamo e da dove veniamo”, sono domande fuori
moda. Lo so bene.
È più importante apparire e mostrarsi che guardarsi dentro, farsi
domande, in silenzio.
Ogni volta che la guardo, quando passo un po’ di tempo con
lei nella sua minuscola stanza da estetista, mi sento vecchia. E non sono la
consistenza della sua pelle giovanissima o il collo lungo e liscissimo a fare
la differenza. Sono piuttosto le sue affermazioni ingenue, lo sguardo di
sincera meraviglia a ogni storia che le racconto. Le domande sui viaggi, sul
teatro, sull’amore. Lei che non si è mai spostata dall’Aurelia. Che se l’ha
fatto è stato per arrivare a via del Corso. Lei che dell’amore sa poco e niente
e afferma che nemmeno le interessa.
Che dell’amore si sa sempre tanto e mai abbastanza, però,
non gliel’ho detto.
E nemmeno che in questo caso specifico la teoria si sposa
poco e niente con la pratica. Che quando ti trovi davanti il tizio che ti
corrisponde a pelle, non ci sono scuse che tengano. Che hai voglia a dirsi “non
darla, non darla”, ci si ritrova sempre supine, spesso, prone. Pronte ad
accorrere a ogni chiamata, fosse pure col sabato sera già organizzato.
Non le ho detto nemmeno che la fedeltà è una grande cazzata.
Né le ho parlato di lealtà, è un concetto che devo anch’io approfondire.
Lalla è afflitta come non l’ho mai vista prima. Neppure
quando la collega le sbagliò tinta. O quando la sua amica del cuore si rivelò
un’infida, portandole via il ragazzo.
Nemmeno quando sentendo per radio Sarah Vaughan, mi domandò
chi fosse quel cantante così bravo.
La incoraggio ancora a parlare.
Allora lascia cadere lo smalto e cerca un’idea, per aria,
tra la doccia abbronzante e l’orologio a muro.
Si tortura le mani, come una bambina timida in procinto di recitare
la poesia.
Non so... balbetta. Non lo so dire... ripete un paio di
volte ancora, spazientita. Poi sbuffa, vinta da qualcosa che sa, e che è
dentro, cui non riesce proprio a assegnare un nome.
Si tratta di amore? Di lavoro, di salute?, domando.
Lalla scuote la testa, i capelli liscissimi, lucidi,
brillanti, un’aureola castana.
Problemi di soldi?, la incalzo.
Di droga? (Da annoverare sempre, con gli estranei poco più
che maggiorenni, come una roba da cui stare sempre alla larga).
Arenata sull’ultima spiaggia della tossicodipendenza, torno
al mio fantastico settimanale di gossip.
Lalla mi sorride.
Se mi viene, te lo dico!, mi fa rassicurandomi, e riprende
il lavoro.
Come sempre concentrata, la bocca grande mastica una gomma
anziché il rosario.
È la mancanza di parole che ci fa restare inermi. Che non ci
consente di progredire. L’incapacità di leggere ciò che sta fuori e ciò che
abbiamo dentro che banalizza tutto. Che fa che le storie restino fatti e non
esperienze.
Prova a dirmelo!, le chiedo ancora una volta, allegra, come
le proponessi un gioco, una caccia al tesoro di concetti astratti.
Cerca di mettere una parola accanto alla sensazione che
provi. Misurala, pesala. Suggerisco. Prova a vedere se corrisponde come colore,
come suono.
Mi guarda come per dire: no, dai, tanto perdo.
Ma provaci!, insisto.
Vabbeh. Mi risponde col sorriso.
Ma prima scegli lo smalto!, propone.
Sceglilo tu!, mi affido a lei.
Decisa, punta il dito su un grigio scuro.
Approvo.
Lalla ha esteso la propria cupezza ragazzina alle unghie dei
miei piedi.
Mi annoio, dice.
Ora?, ti annoi adesso?, qui?
No, dice allarmata, il lavoro mi piace, il lavoro mi fa
stare bene. Si scusa.
Allora?
È la vita che mi annoia. La mia vita, che non ha senso.
Ecco, l’ha detto, e si fa di nuovo scura in viso.
Bel casino, penso. Ma è solo un attimo, perché io ce l’ho la
soluzione, io la trovai prestissimo la via di scampo. E non basta dirle che è
giovane e che passerà. Perché così non sarà. Perché è la mancanza di parole a
toglierle la visuale, a negarle l’infinito che tutti abbiamo a disposizione e
che spesso non sappiamo vedere.
Leggi. Le propongo.
Leggi!, le dico di nuovo, senza pensarci un attimo, senza
aspettare risposta, con entusiasmo, rivivendo in un istante solo la meraviglia
provata la mia prima volta, quando nascosta tra la poltrona di pelle di papà e
il termosifone, in un noioso pomeriggio invernale, lessi di Jo March e il suo
primo istante d’amore, sulla neve.
Leggi!, le dico ancora, rispondendo al suo sguardo diffidente.
Leggendo puoi viaggiare, conoscere, sapere. Puoi essere
altrove senza doverti mai spostare, puoi essere sempre diversa restando così come
sei.
Leggi, ti prego Lalla, vedrai che sarà come camminare in un
sogno infinito. Sarà come salire i gradini di una scala che porta su nel cielo.
A volte anche all’inferno, sì, ma pazienza, può capitare. Sarà come aprire
porte che svelano paesaggi sempre nuovi.
Poi, anch’io non trovo più parole.
Guardo il lavoro che ha fatto ai miei piedi. È perfetto.
Mi lascio andare al vuoto che le nostre parole hanno
prodotto. Mi domando se uscendo dal lavoro Lalla entrerà in libreria.
Conosco la risposta, ma stavolta ho già la soluzione. È in
borsa.
Un bel Romanzo d’amore, per iniziare.
Come mi scrive pure una persona che conosci su Twitter, e forse anche su Facebook (mentre io su Facebook ti ho trovata ma ci sono meno di un tempo), quello che scrivi è un regalo, che forse troppo pochi apprezzano. In compenso, poi, molti comprano l'ultima "fatica" del famoso di turno televisivo che non ha nulla da dire, ma sa pubblicizzarsi molto bene. Silvano C.
RispondiEliminaBello, gran bel consiglio, leggere.... e puoi andare dove vuoi, con chi vuoi.... Lucky
RispondiEliminaGrazie Silvano. Intanto scrivo, mi avvantaggio. Studio. Forse miglioro. E poi, come dicevo sempre quando lavoravo in teatro: va bene anche uno spettatore, ma commosso.
RispondiEliminasi, commosso..non so com'è, ma mi commuovi sempre nel tuo scrivere...bacio Elena, spero, a presto.
RispondiEliminaTeatro che cigola altrove stasera. Dove la luna recita a braccio ed il buio è magica quinta. ;)
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