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giovedì 29 novembre 2012

Destrista, squadrista e dall'aspetto fascista.


Devo raccontare a qualcuno del regalo speciale che mi sono fatta quest'anno.
Le amiche sono pettegole e gli ex gelosi, tu, anche se ti farai grasse risate terrai la cosa per te. So che non ti scandalizzerai, mi conosci, conosci il mondo, le consuetudini e le mode.

Si tratta di un “affaire” poco pubblicizzato ma assai praticato anche dalle figlie della società bene di certe cittadine di provincia.
Ricordo alla perfezione, e anche tu, le voci che giravano giù da noi sulle ville fuori città che nutriti gruppi di studentesse appena maggiorenni affittavano come pied à terre. Durante quei primi anni ottanta i salotti della piccola e alta borghesia del sud si ravvivarono un bel po' per quei lunghi e dettagliati articoli.  Il bal bla bla si estese dal centro città dalle luminarie natalizie sino alle spiagge affollate di ferragosto. La figlia di quello, la nipote di quell’altro, la moglie di Caio, la sorella di Sempronio. Non si parlò d’altro per almeno un paio d’anni.

Io, ancora ragazzina, guardavo la pubblica opinione scandalizzarsi e andare in estasi.
Se lo fai per bisogno, puoi, se lo fai per piacere, no, ripeteva il coro unanime.
Si fa ma non si dice e si scaglia la prima pietra.
La regola è questa ancora oggi.
Allora mi sono detta che non si può morire di rimpianti e ho cercato e scelto quello giusto.

Lo frequentavo solo on line e da un paio di mesi.
Uno di quelli piuttosto in vista, pubblicamente di centro ma di nascita e indole destrista, squadrista e dall’aspetto fascista.
Non fare quella faccia, lo sai che è il mio chiodo fisso, la mia caccia aperta.
Nonostante il mio aspetto sono rimasta fricchettona nell'anima. Ho una borsa “vera Tolfa” nell’armadio, e ho scelto la nostalgia alla rassegnazione. 
E in nome di questa nostalgia romantica volevo farmi un fascista di razza.
Uno di quelli che oggi mediano, stanno al centro e condannano i figli dei proletari alle scuole professionali e dicono in giro che la casa, oggi, è un lusso che in pochi possono permettersi.
In “Portiere di notte” sarebbe stato perfetto, in divisa da nazi e con lo sguardo crudele: un universo pieno di sensibilità di un alter ego ostile.
Volevo vedere in lui l’altra faccia della medaglia, quella che amo, quella nascosta.
Volevo metterlo in basso, che mi domandasse di finirlo lì o di amarlo per sempre.

Non che l’avessi mai visto mangiare, ma non mi è sembrato uno che consuma in fretta il suo pasto. L'ho intuito riflessivo, cauto. Indifferente, almeno in apparenza, alle mie battute caustiche. Che non abbocca facilmente all'amo.

Sfuggiva, ridacchiava, e nella sua casa confortevole con vista sui tetti di Roma, scorreva i miei racconti e si passava le dita sulle labbra forti, si domandava quale fosse il sapore della mia pelle e la consistenza della mia bocca.
Così volevo sognarlo e così lo tenevo accanto a me di notte.
Finché mi ha chiesto delle foto, le solite, e io gli ho risposto di no, e che se proprio le voleva, avrebbe dovuto pagarle.
Lui mi ha proposto subito un albergo, al più presto, un cinque stelle raffinato in pieno centro, ore 14:00 e possibilmente di mercoledì.

Avrei deciso io il giorno esatto e avrei fatto il prezzo.
In seguito all'offerta imprevista, si è messo di nuovo al buio e in disparte.
Un uomo in grado di aspettare è già degno di fiducia.
E poi siamo persone adulte, solo i ragazzini continuano a giocare a carte scoperte.

Il fatto che mi avesse comprata a scatola chiusa di per sé mi ha fatto un certo effetto e dopo alcune notti in bianco, fissate anch’io le mie regole e il mio limite, mi sono data un prezzo, alto.
Dalla sua casella aziendale è arrivato un “sì” seguito dal suo nome e cognome per intero, doppio, altisonante e noto, e l’elenco particolareggiato dei primi ordini da eseguire –fin nei minimi particolari, sì, tutti quelli che puoi immaginare- e la lista dei negozi dove provare gli abiti e le scarpe che voleva vedermi indosso.
Anche l’intimo, niente affatto dozzinale, mi è stato mostrato non senza sguardi complici da una ragazzetta servile ed educata di un negozio piuttosto chic.

Sarei dovuta arrivare per prima e accoglierlo come si deve.
Così, il portiere non mi ha domandato il documento, mi ha porto la chiave e indicato l’ascensore e il ragazzo che mi avrebbe accompagnata all’ultimo piano.
Fuori pioveva.
Ho pensato che a sua disposizione aveva soltanto due ore ma che in due ore si può anche morire, di cosa era abbastanza chiaro. E soprattutto a quel prezzo.
Nello specchio dell’ascensore ben illuminato mi sono trovata all’altezza della cifra e della follia in cui mi stavo imbarcando.

Una volta chiusa la porta della stanza centoventitré le sue mani mi hanno afferrata con forza.
L’avevo intuito esattamente così, un baro e un perfetto imbroglione.
Se per quella somma poteva cambiare le regole sarebbe andato oltre il mio limite.
Un uomo così poi, con l'arroganza che si portava addosso...
Con le mani non troppo grandi dava e toglieva al momento giusto, senza affanno e senza mai un dubbio. La voce, un po’ acuta, impartiva ordini esatti che non volevano repliche né domande. L'attenzione era massima.
Dei "sei bravissima" sussurrati e caldi, degli "ancora" che mi riempivano di gioia, dei "dai" che erano già pieni di nostalgia hanno portato al capovolgimento improvviso.
Quel pieno di attenzioni e di sguardi inaspettatamente servili mi hanno suggerito una soluzione diversa e una novità per entrambi.

Le scarpe, perfette, non sono state che uno splendido inizio.
Farmi pagare da un fascista per tenerlo sotto è stato il più bel regalo di compleanno. Che raddoppiasse il prezzo per avermi ancora due ore, è stata vittoria proletaria. 



2 commenti:

  1. L'unico difetto di questo racconto è che, come le cose migliori della vita, finisce troppo presto
    Amo questo senso di stordimento che mi viene dal dipendere dalle tue parole, dal correre nel leggerle e tornare indietro per cambiare scorcio. Insomma Bibolò, brava, brava, brava.

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