Insomma, se mi faccio un account su twitter è anche perché non ho l’obbligo di salutare chiunque incontro in TL né di protrarre all’infinito discussioni inutili.
Siamo sul web, e se voglio proprio sapere chi è Marìas vado un attimo a “gugolare” anziché insistere nel domandare.
Riassumo: le polemiche domenicali continuano.
I ban, crudeli e immeritati non ne parliamo nemmeno, e anche se in molti tornano in ginocchio, e per confessare che su molte cose ho ragione, mi ritrovo a essere interrogata -o insultata - sempre sulle stesse questioni.
Capita che qualcuno, leggendo una mia #deriva, mi defolloui senza indugio e che mi dica che twitter va usato come si vuole: ognuno si fa la TL che crede.
Certo, e al di là del fatto che si è liberi più o meno sempre e senza che lo si debba ogni volta ribadire, va anche usato secondo il risultato che si vuole ottenere.
È un mezzo e non un fine, almeno per me che ripongo nel digitale la stessa fiducia che ho negli uomini: ci sono sì, e spesso sono necessari, ma in caso di black out universale ci si può anche adattare alle candele e a un bel libro e senza disperare.
Il mio mezzo deve portarmi alla meta, e basta.
E che piaccia oppure no, che sia una delle tante o forse no, che sia cattolica o dissacrate, pessimista o rosa pastello, per me il risultato deve essere che qualcuno mi legga.
Ma non solo. Tra i pixel ci sono una quantità di persone speciali e di vite incredibili, di punti di vista e soluzioni che io, nonostante la mia distrazione patologica, sono pronta ad ascoltare.
Osservo, mi piace guardare.
E pur essendo fortemente miope –del tipo che entro in macchine di sconosciuti e li bacio anche- ho dovuto sviluppare questa facoltà studiando recitazione.
Normalmente, l’attore talentuoso trucca viso e anima. E per trovare colori e tonalità diverse dalle mie, devo osservare, ascoltare, cercare nei gesti i movimenti interiori.
Allora ho imparato a sentire distanza la puzza di chi non si fa scrupoli a insistere in una discussione su cui non c’è altro da dire.
Così come di chi mi folloua, ma ha interesse solo per i numeri, i propri, o chi vuole fare pettegolezzo e sapere, perché c’è anche chi corre dietro alla prima firma in grassetto su quotidiano nazionale e che sta lì a follouare i loro rituit e le menzioni. Quelli che in DM mi vengono a digitare bla bla bla feroci su qualcuno, quelli che mi si filano solo per i primi giorni e poi spariscono a spettegolare altrove, in cerca di altri amici di amici di amici che possano farli entrare nel circolo degli “up” dalla porta principale.
La falsità di chi digita melensi #followfriday per avere il follow back, poi, è inconfondibile.
Basta che io dichiari di non volere “effeeffare”, che tranne poche perle rare –o pecore nere- si danno tutti a gambe.
Opportunisti.
Nonostante ci nascondiamo dietro i nickname tra i più arditi, restiamo dei fottuti opportunisti.
C’è chi fa di Twitter una ragione di vita ed esagera, e in DM mi chiede conto degli #FF fatti e quelli no, che fa la conta degli aggettivi usati in suo favore o di chissà chi trasformando il followfriday nell’incubo della settimana anziché in un momento piacevole in cui consigliare con il cuore chi seguire: perché ha un senso, perché questo rimane un social media d’informazione, di segnalazione e misurazione dello stato d’imbecillità o intelligenza di un gruppo di ascolto, di potenziali elettori e lettori.
Al massimo serve per una sveltina intellettuale ma poi, se ne vale la pena, ci si vede su Skype o Feisbùc.
La TL dovrebbe essere pulita e ordinata, perché è il nostro abito, è la rappresentazione immediata di ciò che siamo o vorremmo far credere di essere.
Appunto.
Ed è una questione pratica e non ideologica. Non è un vezzo, è solo perché se accogli l’ospite in una casa che fa schifo è inutile che ti giustifichi accampando scuse: sei solo maleducato e zozzone.
Perché almeno per me le cose hanno una forma che le rappresenta nella sostanza, e la forma sottile ed essenziale di Twitter non permette disquisizioni filosofiche ma sani e originali spunti di riflessione. Io la casa la tengo pulita a prescindere da chi devo ricevere.
Twitter è come una villa liberty sul mare che non puoi arredare con mobili rococò.
Twitter è uno dei più divertenti happening cui si possa partecipare.
Naturalmente, il rischio di incontrare qualcuno che anziché girare tra i tavoli pretende di fermarsi a parlare con me per tutta la sera, è altissimo.
La sfiga di incontrare l’ubriaco molesto ancora di più.
Personalmente non sento il bisogno di unirmi ai cori, non c’è bisogno di fare la carta copiativa degli umori altrui anche se mi corrispondono, e se trovo un tuit esilarante lo rituitto immediatamente, cosa che i “neofiti” feisbucchiani non fanno, preferendo la menzione che corrisponde al tiepido, abituale e ipocrita “mi piace”.
Certi giorni twitter è noioso, ma dipende solo da chi abbiamo in TL, è per questo che accanto ad anonimi rivoluzionari follouo menti conservatrici e destriste. I moralisti, poi, mi mandano in brodo di giuggiole quando confondono ciò che “racconto” con ciò che sono nella vita reale.
Leggere opinioni univoche a conferma del mio minuscolo punto di vista è stupido, è lo stesso che pensare all’esistenza dell’uomo ideale e non vedere al di là del mio ombelico rigorosamente NON pierciato.
Cerco di evitare di cadere nel ridicolo come chi, con una benda sugli occhi, si crede invisibile.
Il nostro mondo è ciò che abbiamo in TL, ed è la nostra TL, che se non ci piace possiamo anche cambiare con la sincerità del defollow.
È un microcosmo unico ma non universale.
Così come questo post, che chi condivide dovrebbe avere la compiacenza di rituittare evitando accuratamente di scopiazzare.
Ecco, ora passerò il resto della domenica a pensare dopo posso essere stato inquadrato nella tua personalissima tassonomia, assolutamente realistica e perfino troppo indulgente verso un gruppo di sconosciuti che spesso si considera un elite per il solo fatto di avere accesso a Twitter.
RispondiEliminaIo credo che un fattore discriminante non marginale possa essere l'età, che - perlomeno a me, che sono miope come e quanto te e forse di più - mi consente di avere una visione meno ossessionante del mezzo, che considero, appunto, un mezzo e non il fine ultimo per avere successo in società, parafrasando Flaiano.
Poi, se serve a trovare almeno una persona che ti dà piacere a leggerla, già lo considero un successo.