Alcuni sono come recidive. Si manifestano quando non hai
difese, mentre stendi i panni e ti senti indecente, la ricrescita che ti dice
che non hai più trent’anni, la tuta lisa alle ginocchia, il viaggio di cui
conservi il desiderio ma non il ricordo, la canzone che avevi ascoltato e che
ti è tornata in sogno: lui tra orologi liquefatti di Dalì, in un dedalo che
sembra Shining, si guarda attorno in attesa di una salvezza che non sarai tu.
Anche le recidive le senti nel sogno.
È quando dormi che arriva il prurito, l’ansia, la stretta al
petto.
Ma servono, sono utili, ti si piantano dentro come una spina
di riccio nel piede. Sono lutti che porti avanti per anni. Circuiti elettronici
che servono a sopravvivere, a far pompare il sangue, le arterie, storie che non
trovano soluzione, rebus che non risolverai mai: perché mi scrive? Che cosa
vuole, che cerca?
Come le recidive -febbre leggera, prurito, orticaria- anche
loro si presentano sotto forme diverse: amico, maestro, amante. Provocano
reazioni diverse e tutte preoccupanti: il bicchiere cade seppure ben stretto
in mano, il bidet perde da un anno ma all’improvviso batte un ritmo, il
rumore bianco nella notte si fa assordate come un concerto Live dei Led
Zeppelin.
Ogni cosa pronuncia il suo nome.
Il refolo di vento è una sua carezza.
Il lampione davanti alla finestra una luna piena e rossa su
Positano.
Il ronzio del frigorifero un ruscello in piena sopra una
vetta montana.
Come le recidive anche loro andrebbero espiantati. Privati
di ogni potere, ridotti a mali di stagione e dimenticati.
Invece è proprio quando voglio e devo condividere un bene e
un male più profondi che bussano al portone, quando mi affaccio sull’abisso che
la vita mi mette davanti ogni giorno, e che io guardo, che loro inviano un
messaggio, quando mi domando che cosa ci faccio, io, qui.
E' quando sono stanca di prendermi per il culo che loro si manifestano.
E' quando sono stanca di prendermi per il culo che loro si manifestano.
È quando prendo una benedetta decisione, quando metto un
punto (o due): basta!, io non sono questa, e se non sono questa?, chi sono veramente?
Quando alle domande non c’è risposta che tenga e ci vorrebbe soltanto una fiaba per raccontarla, per dirla tutta, cioè che la vita e il cazzo di tempo che corre mi stanno sfiancando, che dopo i trent’anni sembra che abbia più fretta del solito e che non voglia fermarsi mentre io ho ancora un mucchio di cose da fare.
Quando alle domande non c’è risposta che tenga e ci vorrebbe soltanto una fiaba per raccontarla, per dirla tutta, cioè che la vita e il cazzo di tempo che corre mi stanno sfiancando, che dopo i trent’anni sembra che abbia più fretta del solito e che non voglia fermarsi mentre io ho ancora un mucchio di cose da fare.
È soltanto quel male, capace e insistente, che riesce a
fermarla, la vita, per il breve istante in cui penso: ecco il mio amante. Mi sfotte, ridacchia.
Dura il tempo che basta perché la fiaba, sempre a un passo da me
(da noi) si trasformi in noiosa narrativa iperrealista, interrompendosi quando
il dovere mi chiama. Quando la frittura deve friggere, il cane pisciare,
l’amica parlare.
Ma un po’ si migliora. Il tempo che scorre alla fine serve a
qualcosa. Almeno.
Quando si cresce e si diventa adulte si perde la pazienza.
Prima si ride, poi si volta pagina. E basta.
Non sono più disposta a chiedermi prove di autostima e a darmele
(di santa ragione) quando fallisco in un rapporto. Non mi ferisco più come
prima, non con la rabbia che avevo a quindici anni.
Perché loro non si trasformino come le recidive in qualcosa di più grave, però, devi tenerli d’occhio, sui social, sui social, sui social.
Diventano poi, per lunghe stagioni, spesso per anni,
sbiaditi ricordi. Che ti domandi chissà che fa… finché diventeranno pagine
vuote di un diario. Blog mai più aggiornati. Un segreto ormai rivelato.
Loro, ancora immobili nell’istante in cui li avevi persi di
vista, ogni anno più lontani, meno nitidi, immagini seppiate e non più
tridimensionali, non sapranno mai, invece, che non sarebbe comunque mai stato
facile averti veramente.
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