«Alla fine non sono potuta venire, perdonami», mi affrettai
a dirgli dopo averlo individuato proprio accanto allo spazio ristoro dei
veterani del PD, lì dove avevamo deciso per l’emozionante appuntamento al buio.
«Ma scusa, non sei tu quella con l’abito turchese?».
«Io? Nooo...» risposi cercando di allontanarmi dal
frastuono, lo stesso identico che ascoltava anche lui a pochi passi da me. «E poi
perché dovrei dirti che non sono potuta venire, scusa» conclusi falsa ma con
voce morbida, mentre mi avviavo al palco dove di lì a poco avrebbe parlato
Veltroni. Le disgrazie non vengono mai da sole.
Il tizio in questione aveva postato sul proprio profilo la foto in bianco e nero
di quando era ragazzo. Passabile, almeno in quella foto lì, niente di che ma
sicuramente un ballerino dal fisico asciutto e non un Babbo Natale in versione
estiva e con camicia a fiori grandi e rossi.
Così riagganciai, certa che lui avrebbe capito che, se
rimani dietro il monitor è un conto, ma se ci si deve incontrare, un minimo di
onestà sarebbe d’obbligo.
La bellezza per me non è un "must". Ho avuto amanti deturpati
dall’acne e sovrappeso, alti quanto me (cioè bassini) e grandi quanto armadi
grandi, e goffi, o magrissimi, completamente pelati o con riporto.
No problem: di loro mi aveva attratto ben altro.
Però, quando si tratta di appuntamenti al buio non transigo.
Se non fossi nata nell’era del web avrei avuto sicuramente una
decina di caselle fermo posta in una stazione ferroviaria polverosa e di
provincia.
Ricordo ancora il fascino che avevano su di me le rubriche,
proibitissime in casa mia, degli annunci personali. Su qualunque giornale o
giornaletto immaginavo vite altrui in attesa di contatto. Solitudini alla
ricerca di un’anima gemella, voglia di raccontarsi e ascoltare, di trovare al
di fuori delle quattro strade di paese qualcuno che li avrebbe portati via.
Di incontri al buio è piena zeppa anche la nostra
cinematografia,“Bello, onesto, immigrato in Australia...” per esempio, o il
dolente “La visita”, capolavoro di Pietrangeli del 1963.
L’incontro al buio esiste e viene praticato da sempre. Anche
i reali, promessi sposi fin da bambini, si vedevano per la prima volta
attraverso ritratti che viaggiavano per settimane intere per l’Europa, per
diventare infine capolavori messi in bella mostra nei musei di tutto il mondo.
Non sarà così per le nostre foto del profilo. Nonostante l’impegno che ci
mettiamo, e la creatività, non saranno mai dei Velasquez.
Così noi, ci ritraiamo nel nostro abito più bello per poi
rimanere perplessi davanti allo specchio domandandoci se gli/le piaceremo
abbastanza.
È così, è sempre la stessa storia per tutti e non se ne
esce.
I social, lo tuittiamo ogni giorno, sono il regno delle beltà
camuffate. Colpa della tivù e del cervello in pappa, che ci porta a pensare che
per accumulare follouer sia necessario essere splendidi. Come in “Essi vivono” del
mago Carpenter, dovremmo avere occhiali speciali per vedere il vero volto di
ognuno al di là del monitor. Ma non si può, e allora cediamo ogni volta
all’ansia della sorpresa.
I soliti “chiosatori” potrebbero opporre che esiste la video
chat, che ci sono gli onesti, che spesso e volentieri è andata bene. Ovvio,
ovvio, ovvio!, rispondo io.
Ma questa è una #deriva, e a me non interessa mai ciò che va
a buon fine, e arrivati alla numero #32 mi meraviglia che ancora non lo abbiate
capito.
Quindi, premesso che chi vuole i cuoricini può anche “cambiare
canale”, dico anche che l’incontro al buio è una gran figata in termini d’investimento
emotivo.
È come andare a una riunione di condominio convinti di aver
pagato tutte le rate per essere presi a esempio, e davanti a tutti, come straordinario debitore. È come recarsi all’ufficio delle entrate e
scoprire che il nostro commercialista non ha fatto bene il suo lavoro. Come
acquistare una multiproprietà alle Canarie e ritrovarsi in una stia per galline
con in valigia un pieno di abiti firmati.
L’incontro al buio uno sport ad alto rischio che bisogna
saper praticare. Non è per deboli di cuore. È un gioco tattico da amanti del
brivido.
L’incontro al buio deve essere meditato.
Per rimanere in ambito cinematografico, “l’incontro” per
eccellenza, e che spero ogni volta di sperimentare, rimane per me quello delle
gambe di Angie Dickinson (e i cultori di cinema e gambe sanno di cosa parlo)
con quelle di un maschio “x”. Maschio perché insegue e scompare, perché caccia
(mi perdonino le femministe toste) e sfugge, perché vuole e si distrae.
Rappresenta per me l’incontro per eccellenza, perché è fatto di un sentire che
non ha niente comune con la razionalità, perché dura il tempo che deve e non di
più, perché avvampa e si fa cenere in un attimo. È perciò che ho eletto il
Museo “luogo” di eccellenza per un incontro al buio. Non perché io desideri
fare la fine della Dickinson, squartata in ascensore e con espressione sorpresa,
no, ma perché c’è gente e privacy allo stesso tempo, un modo di muoversi e
parlare che non inganna sulle abitudini e l’educazione di chi si ha vicino.
Perché sarà più facile sentire l’odore dell’incontro ancor prima che avvenga.
Perché non è detto che in un Museo, tra tele, cantinelle, faretti e leggere
pareti divisorie, ci si debba incontrare a tutti i costi.
L’incontro al buio va fissato ovunque e in nessun luogo: Museo
Borghese intorno alle quattro del pomeriggio (autunno e inverno) alle sei e
mezza d’estate, possibilmente con gonna plissettata di seta leggera.
Sala: non pervenuta. Opera: nemmeno. Segno di riconoscimento: nessuno.
E da quella PIC benedetta, microscopica e il più delle volte
taroccata, i due dovranno ricomporre il vero volto del proprio incontro
romantico.
L’appuntamento al buio può avvenire anche in una Basilica, San
Paolo fuori le mura a Roma, per esempio, enorme e vicina ad un buon
ristorante. L’appuntamento in Basilica è da aperitivo. Perché se lui/lei non è
come speravo, me la sbrigo in mezz’ora, se mi piace, si passa a una frittura di
pesce al biondo Tevere, e se è fichissimo, il dopocena è garantito.
Si spera. È ciò che ognuno di noi vorrebbe, mentre cerca
nell’armadio l’abito che sfina, la gonna demodé ma così sexy che fa tanto “La donna
che visse due volte”, e pazienza se lui non è un James Stewart che aspetta con
ansia la puttana bruna trasformata in angelo biondo, pazienza se di Kim Novak
non ho nemmeno la metà del sex appeal. È il mio incontro al buio e fa lo
stesso... ma fino a un certo punto.
L’incontro al buio è un investimento, di pochi attimi o una
vita poco importa.
Nell’incontro al buio ci sono ore e ore passate on line a
digitare messaggi idioti. Inutili tattiche che spesso sono le stesse praticate
dall’interlocutore. Silenzi assensi e silenzi offesi.
In quel pugno di minuti che stanno in un sms: “Ci vediamo
alle diciotto da Melbookstore” (altro luogo giusto anche se con luce troppo
intensa), ci sono batticuori da reparto cardiologico. Prima di quel timido “domani
all’Auditorium sarò alla conferenza di Bauman” abbiamo attuato interminabili
raid sulla pagina del Signor “x” in questione, analisi complete degli album di
Feisbùc, dove lo/la si vede ritratta così com’è e non come finge di essere:
alla festa di fine anno tra colleghi, per esempio, o sullo sfondo di una foto
di gruppo in discoteca, un po’ mossa e con ottomila tag.
In quel messaggio, l’ultimo prima del necessario incontro,
ci saranno sempre una grande quantità di punti sospensivi (come sempre tre, vi
raccomando), e la speranza –ammettetelo spesso tradita- che questo/a sia quello
giusto/a.
Sentirsi per telefono prima di decidere, è sempre
consigliato. La voce è un elemento essenziale per capire se sarò libera quel
giorno o avrò un improrogabile impegno, e pazienza se poi parti e torni a Roma
tra tre anni.
In un incontro al buio l’onestà è auspicabile sempre.
L’illusione da evitare più che mai: un paio di tette possono
anche essere state elaborate con effetto grandangolo.
L’ironia... è da portare in borsetta in ogni occasione. Il
buco nell’acqua è più probabile di un bel goal. E a questo proposito, mi scuso sentitamente con il
corpulento tanguero se l’ho lasciato alla Festa del PD con in mano un panino
con porchetta e il dubbio, o forse la certezza, che il suo appuntamento al buio
fosse proprio a due passi da lui, quella tipetta mora e bassina in abito
turchese che fumava una strana sigaretta e si aggirava da sola tra gli stand.
Non so come definire questo post.
RispondiEliminaL'aggettivo che mi è venuto subito in mente (sebbene possa sembrare inappropriato) è elegante.
Io ho avuto alcuni, non molti, incontri al buio. Ho avuto meno fantasia di te nell'elaborare luoghi e "scenografie" di incontro, ma devo dire che sono rimaste fra le mie esperienze più intense e indimenticabili, e li ricordo tutti con emozione, anche - e forse sopratutto - quelli che non sono andati bene, quelli in cui la "controparte" alla fine si è rivelata deludente, o in cui io mi sono rivelato insoddisfacente e inadeguato per la controparte.
Per questo, non posso che sottoscrivere ogni singola parola di quello che hai scritto.
Federico
Mai fatto...
RispondiEliminaMa adesso che ho letto questo post, mi vien voglia di provare...
La mia pic è sincera, i miei account anche di più, cosa mi manca?
Forse una briciola di coraggio...
Mmmmm, vabbè... Vedrò...
Baci.
P.s. Ti ho appena aggiunta al mio blogroll...
RispondiEliminaRi baci
L'ultimo incontro al buio è stato al Macro. Lei su Fb aveva una foto di 15 o 20 anni prima, o forse non era nemmeno lei. Ho fatto finta di niente, abbiamo guardato la mostra di un pittore cinese, poi di un artista americano. Ho fatto commenti, lei pure, pochi e anche un po' banali. Mi aveva interessato il fatto che dipingesse, pensavo di catturare qualcosa di interessante, di conoscere il suo punto di vista. Ma non c'era niente, niente di niente. Sono stato gentile, non ho avuto fretta. Poi ci siamo salutati. L'ho vista andarsene un po' zoppicante lungo via Nizza. Io mi sono chiesto: perché.
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