Su quello delle 07:10 si trova anche posto, è il treno a due piani, quello da dove si vede l’alba accarezzare la campagna con dolcezza fino a svegliarla, è il treno delle badanti rumene, dei papà e dei bambini che vanno a scuola e che mi rallegrano con le loro riflessioni sul calcio e la televisione.
L’altro giorno ho alzato il volume del mio I phone: “i clown” di Rota sembrava la colonna sonora perfetta per quelle due faccette buffe, larghe e divertenti che mi venivano incontro sotto il peso di zaini pesanti per sistemarsi, educati, accanto e di fronte a me.
Li ascoltavo a occhi chiusi raccontarsi di un sogno pauroso e strano, un sogno abitato da mostri e prove di forza che quello fra i due che doveva essere il maggiore, aveva affrontato, a suo dire, con grande coraggio.
Mi sono lasciata cullare da quel pout pourrì di voci e dal cigolio del treno, uno di quei regionali rattoppati che le nostre FS lasciano all’incuria, privi di servizi igienici e messi insieme con vecchia ferraglia anni settanta.
Di tanto in tanto, non potevo fare a meno di spiare i due bambini da sotto le ciglia, e così facevo con il padre, quello che somigliava a loro di più fra i dei due signori che gli stavano accanto, in piedi, e che come i figli, conversava di calcio.
Erano così somiglianti da non poter esserci alcun dubbio, in quel caso, su quale fosse la paternità dei marmocchi, e così ho iniziato a cercare le differenze fra i tre ma senza trovarne alcuna.
L’attaccatura dei capelli, la fronte un tantino bassa, gli occhi leggermente a mandorla, ma anche il modo di parlare, la flemma con cui esponevano la propria preferenza per uno o l’altro calciatore, le mani, corte, leggermente più larghe nel palmo.
Ma anche la voce, acuta su alcune vocali, quasi stridula e il modo di annuire, erano identici.
Avrei voluto complimentarmi, non avevo mai visto una somiglianza così marcata, certo che quel padre doveva sentirsi fiero ed è stato a quel punto, quando mi sono lasciata andare a dolorose considerazioni sul mio dna non più riproducibile, che i bambini si sono alzati e ho capito che il padre era l’altro.
Il padre era quello biondo, il tizio che parlava poco e non aveva nessuna preferenza calcistica, quello alto e magro dagli occhi leggermente a palla, quello che nulla di somigliante aveva con i bambini.
E quando i piccoli clown dalla faccia allegra anno baciato la loro copia adulta chiamandolo zio, mi sono complimentata per il sangue freddo del padre giuridico, per la capacità di mantenere un segreto di quello naturale e per quella della madre di mentire.
I due adulti si sono dati il cinque confermando l’appuntamento per l’indomani, stessa banchina e stessa ora.
Fortunatamente per una volta ho tenuto a freno la mia lingua, ho lasciato al sicuro le mie opinioni evitando di complimentarmi per quella somiglianza così evidente, per quel dna così sfacciato da rendere tanto riconoscibile un marchio di fabbrica.
Porca miseria! :o
RispondiEliminaA me capitarono due bambini uguale al prete... Erano figli di due catechiste. Non scherzo, è vero.
ah..ah..ah... :D
RispondiEliminaIo dissi solamente >) : "Che belli questi bambini... Si assomigliano" :D
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