Al paese e in città, quando non c’era il web, si stava in finestra a
guardar passare la processione, la sposa con il corteo strombazzante e il carro
funebre trainato da cavalli col pennacchio. Casomai all’epoca non fossimo
ancora nati, ce lo ricorda Vasco Pratolini nel suo “Cronache di Poveri amanti”,
nel quale la “Signora” di Via del Corno è deus ex machina e punto di vista
della narrazione. Di lassù, per voce della sua cameriera che le riferisce
quanto accade nel quartiere, vede e provvede, di lassù, la Signora giudica.
Oggi non è cambiato niente. La nostra Time Line, i canali
televisivi che seguiamo e i quotidiani che leggiamo, è il paese nel quale
decidiamo di vivere, più o meno reazionario, più o meno distante dalle nostre
opinioni, più o meno giustizialista.
Dal nostro tacco dodici, odierna affermazione dell’essere
donna, ci scandalizziamo per le storie del tempo che fu, quando la sposa in
bianco veniva lapidata in Piazza se scoperta impura, o rischiava di non poter
più vedere i propri figli per aver chiesto il divorzio. Eppure, leggendo i
commenti feroci sui social network, ma anche i titoli sensazionalistici dei
telegiornali sulla vicenda del piccolo Loris in particolare ma in generale su
ogni vicenda accade, mi pare che non siamo andati tanto più in là.
Togliendo di mezzo l’idea troglodita che una donna debba
necessariamente riprodursi per essere completa e felice, e che perciò la
facoltà di scelta sia ancor oggi del tutto estranea al nostro genere, mi
spaventa la facilità di giudizio che anima questi piccoli borghi infelici che
sono le Time Line dei social network.
Ogni volta che qualcuno è messo alla gogna, si leva il coro
dei duri e puri e ogni volta, il popolo dei giustizialisti non vede al di là
del proprio naso e della propria straordinaria esperienza di vita per giudicare
l’altro.
E nella mia ingenuità mi domando come sia possibile non
restare qualche volta a guardare, e basta, senza esprimere giudizi, senza
scagliare la pietra, oggi chiamata smartphone, di cui le nostre mani sono
sempre armate. Perché affermare se stessi in rapporto all’altro, come se il
proprio esempio fosse l’unico metro di paragone per giudicare le azioni degli
altri. Poiché IO non lo farei mai, non posso, non dico giustificare, ma nemmeno
capire il gesto altrui.
Riportiamo tutto al nostro piccolo e meschino universo. E lo
facciamo per ogni cosa ci capiti sotto gli occhi, che sia una legge o un fatto
di cronaca non cambia, il meccanismo, quello di riportare ogni cosa alla
propria esperienza è lontanissimo dall’idea di tolleranza delle diversità. Lontanissimo
soprattutto dall’idea d’infinito e di eternità. Non quella di Dio, cui
personalmente non credo, ma della Storia, di cui siamo solo comparse, costrette
per lo più a scene di massa.
Un tempo si usava la Bibbia come termine di paragone, un
librone che conteneva una quantità di fatti, rimaneggiati e sicuramente
riadattati, ma che potevano servire a scoraggiare o guidare i compaesani nel
prendere decisioni. C’erano i Vangeli usati come guida contro le ingiustizie terrene,
insomma c’erano binari da seguire, una scia di buonsenso da fiutare prima di
farsi un’idea della casella entro cui infilare il colpevole, o la vittima.
E forse serviva, la guida alla tolleranza, alla carità e
alla compassione, serviva a chi non aveva mezzi per ritrovare il senso delle
cose, la cultura per leggere le fitte trame dell’esistenza, il caso, che non
esiste e va interpretato e letto per essere compreso, mai subito, mai
incolpato, tanto per levarci di dosso un’altra responsabilità.
Mi dispiace vedere che per innalzarsi dalla propria vita
dolorosa, e troppo spesso non corrispondente a ciò che speravamo di diventare,
dobbiamo calpestare gli altri, che siano colpevoli o meno, lo ripeto, non ha
importanza.
Qualcuno mi dice che ognuno elabora il dolore a modo suo.
Ecco, il dolore andrebbe elaborato in solitudine, in silenzio, non additando
presunti colpevoli come mostri. Perché odio alimenta altro odio, e non l’ho
detto io. Il dispiacere potrebbe trasformarsi in compassione, l’empatia diventare
pianto, o perché no, preghiera.
Soltanto i supereroi non hanno dubbi. E i semidei hanno
sempre un tallone scoperto.
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