Che le distanze si siano accorciate è soltanto un’illusione
ottica, una visione assai parziale. Oggi l’informazione frammentata e
superficiale non deriva quasi mai da una speculazione, da un’indagine
filosofica che ha bisogno di tempo, da un ragionamento che chiede una
conclusione logica, e così, sarà presto dimenticata. È nel soggetto che deve
nascere la domanda, ed è nella ricerca della risposta che sta la conoscenza. Dal
desiderio, dallo sforzo per raggiungere la conclusione, sta la crescita di un
individuo.
E invece gli input arrivano da ciò che mi colpisce quando
scorro il monitor, che m’incuriosisce, quasi mai da una richiesta interiore. Lascio
che immagini di cani torturati o di donne nude colpiscano la mia mente
influenzandola, ma quasi mai per mia volontà.
Leggo rileggo decine di volte gli stessi post, le stesse
informazioni, occupo lo spazio bianco del mio pensiero di roba inutile. Impiego
gran parte della mia mente, e del mio tempo, senza usarla veramente, ottengo
risposte a domande che non ho mai formulato, guardo persone che nemmeno per
strada incrocerei mai, che mai attirerebbero la mia attenzione, diverse nei
gusti, lontane geograficamente, di generazioni troppo distanti dalla mia. Leggo
opinioni che mai avrei letto, punti di vista che non m’interessano, occupo lo spazio della mia memoria con dissertazioni inutili.
L’invidia, che normalmente non provo, nasce spontanea alla
notizia di un successo a mio avviso immeritato e di cui mai avrei saputo fossi
rimasta off line.
Ed ecco il tempo si restringe. Che mi pare io debba fare
tutto in fretta. E tutto il tempo che in un altro tempo avrei dedicato a
un’attività manuale, come mettere a posto la cantina o giocare con le gatte,
non c’è più. E se anche lo trovassi, il tempo per guardare nei cartoni e
ritrovare il passato tra le foto di famiglia, non sarebbe più un tempo intimo e
riflessivo, disteso, sarebbe comunque degno di condivisione e quindi esibito,
non più il tempo lungo della contemplazione di un cielo stellato ad alta
quota, della domanda su Dio e l’infinito, sull’eternità e sulla morte, ma un
tempo da mettere in scena, da mostrare, nemmeno da condividere per il desiderio di comunicare.
Tutte le nostre attività riportate compulsivamente on line,
sono il risultato di un autentico bisogno di dire qualcosa o del desiderio di apparire?
Scelgo di vestirmi in un certo modo perché mi piace
veramente o perché qualcuno potrebbe fotografarmi e mettere on line la mia
faccia?
Invece di scappare resto on line. Attaccata a un “fuori” che
contiene informazioni false, foto ritoccate, biografie confezionate con buon gusto
ma che a ben guardare contengono poco. In cerca dell’eccezionalità e della
battutona guardo il reale allo scopo di esibirlo, scarto così informazioni che
potrebbero anche tornarmi utili ma non sono divertenti da postare, mi soffermo
a fotografare il ridicolo e non ciò che veramente mi piace. Mi adatto, mi
uniformo al gusto degli altri, abbasso il livello –o lo alzo secondo il punto
di partenza di ognuno-, anche senza volerlo, per piacere e compiacere gli altri.
Gli altri, gli amici virtuali li scelgo e li amo in base alla
stima che mi testimoniano on line pur sapendo che, come spesso faccio io, clikkeranno
il tasto “mi piace” soltanto per seguire il gregge, per compiacermi o per
ottenere a loro volta un “like”.
Però resto, perché come scrive il saggio Bauman, i social
network sono il “sostituto povero della celebrità”, e non se ne viene fuori,
perché se gli altri non mi vedono, io non esisto.
Ma per chi?
Chi sono questi che mi guardano e mi seguono?
Siamo tutti più vicini ma è soltanto un’illusione. Gli amici
che ho ignorato per anni e che grazie ai social ho ritrovato, a distanza di
pochi mesi ho ripreso a ignorarli. Gli amici nuovi, invece, non so proprio chi
siano. Non li conosco.
Gli amici nuovi con i quali credo di scambiare più che qualche opinione, incontrandoli per strada non li riconoscerei.
Siamo in un deserto d’individualismo. Siamo lontanissimi gli
uni dagli altri, estranei e per lo più nemici, non per volontà ma per
condizione.
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