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venerdì 11 luglio 2014

Come su un'isola deserta. Il ritorno.

Tra pochi giorni riattiverò il mio account su twitter, almeno credo.
Anche se vedo quel momento come un incubo dopo il silenzio di queste settimane e anche se so che Twitter può fare tranquillamente a meno di me, so che io non posso fare a meno di lui.
La mia è stata un’assenza istruttiva e terapeutica e giuro che non mi sono mancati gli “io!io!io!”di cui i social risuonano, né i miei né quelli degli altri.
Amici elettronici –che non finirò mai di ringraziare-, mi hanno scritto e telefonato, e dalle loro parole: “beata te”, “brava”, “continua così”, dalle lunghe confessioni e sfoghi che ho ricevuto in queste settimane, ho capito che i social sono per molti una vera schiavitù, e che tra questi ce ne sono altrettanti che, non soltanto non lo ammettono ma trovano sconveniente anche che se ne parli.
E poiché amo tutto ciò che è sconveniente, vi racconto il mio punto vista.

Parrà strano ma mi sono sentita meno sola in questo breve periodo di eremitaggio dal 2.0
Per i malpensanti che non sanno di cosa sto parlando, che non hanno mai letto le mie #deriveditwitter e che mi hanno scritto accusandomi d’ingratitudine, o peggio di andare in cerca di attenzione, rispondo che si può amare qualcosa pur avendo verso di essa un atteggiamento critico, che non tutto è solo bianco o solo nero, che devo molto ai social network ma che sono anche abbastanza adulta da non avere bisogno di mezzucci per cercare visibilità.

Di fatto i social sono un’invenzione straordinaria oltre che diabolica, altrimenti non staremmo sempre a parlarne.
Grazie ai social mi sono divertita a scrivere Justine 2.0 che sempre grazie ai social ho anche vendicchiato.
Quando si scrive di questo tempo qui, non si può prescindere dallo sguardo dei personaggi sul display di un aggeggio elettronico qualunque.
So di uomini che twittano subito dopo il coito.
Di imbecilli che si fanno la selfie con l’amante.
Di amanti che poi inviano le selfie alle loro mogli.
La gogna mediatica a colpi di screenshot risuona anche in tivù ma la notorietà che arriva immotivatamente così se ne va.  


Però ho scoperto che l’astinenza dura poco, parlo di quella fisica, che ti svegli al mattino e la prima cosa che vorresti fare con la tazza di caffè fumante in mano è aprire l’account per controllare lo stato delle cose: retweet e follower.
Ma dura poco. Poi la sostituisci, la dipendenza. Magari fai l’amore, ti siedi al tavolo di cucina per fare colazione e leggere le notizie direttamente alla fonte, rendendoti conto che così fa un altro effetto, che è tutto meno divertente, amplificato, ridondante. Che è tutto meno importante. Che il mondo non è abitato soltanto da gente “arrivata” o che “vuole arrivare”, da sfigati o geni, raccomandati e non, ma anche da chi fa le cose per il solo piacere di farle e che non ha bisogno di lodi e gratificazioni.
Scopri che c’è tanta gente anche altrove soprattutto in strada. La vedi e finalmente la guardi veramente, te ne occupi sul serio della “gente”, e non per cercare qualcosa da twittare che sia il più credibile possibile e divertente. Ti rendi conto dello stato delle cose della tua esistenza che vedi per quello che è, e puoi finalmente capire se ti piace oppure no e attuare un cambiamento, una sterzata pericolosa ma che può salvarti la vita, puoi finalmente riflettere e fare tutto ciò che quel continuo tenere lo sguardo sul mondo –o meglio sul suo riflesso- ti impediva di fare.
In queste poche settimane ho letto il triplo, lavorato a velocità supersonica e dato via sacchi di roba inutile.

Per riempirsi bisogna svuotarsi.
E come fai se t’impegni di continuo ad accumulare maschere?
Ad apparire anziché essere?
A giudicare qualcuno senza mai guardarlo negli occhi?
Ci siamo ridotti a fotografare il mondo non perché ce ne rimanga il ricordo, di quella giornata, di quel viso, di quel tramonto ma per manifestarci: ecco io ci sono.
Raccontiamo senza più guardare o peggio, guardiamo soltanto per poter raccontare.

Sapendolo, forse, si può fare qualcosa. Essendone consapevoli, si può evitare di ricaderci. Illudendosi di essere autentici sui social network, no.
Ho capito che i social servono a fare chiasso dentro, un po’ come chi tiene il televisore sempre acceso illudendosi di avere compagnia. 


5 commenti:

  1. È sempre bello leggerti, ma poiché i complimenti possono imbarazzare, mi fermo subito. Neppure esprimo critiche, perché non di rado arrivano sgradite e sono lanciate troppo spesso giusto per farsi notare, in particolare su Twitter. Non condivido ogni tuo pensiero, ovviamente, ma leggerti mi chiarisce nei miei, e non è poco, credimi. Io, praticamente, vedo nei social un mezzo, molto potente, a volte anche troppo, per farsi conoscere (ovviamente senza gonfiarsi troppo l'ego, per non sfiorare il ridicolo). Io mi sento sfruttato dai social e un po’ ricattato anche, sul piano affettivo, perché le persone che mi ci legano sono ostaggio del mezzo, ma poi cerco anche di trarne vantaggi, e alla fine raggiungo in compromesso. Twitter è cambiato da quando sei entrata la prima volta, anni fa, e cambia ogni giorno, colpa pure mia e di quelli come me, ma anche di altri molto peggiori di me.
    “Raccontiamo senza più guardare o peggio, guardiamo soltanto per poter raccontare” è perfetta come descrizione ma secondo me è parziale, poi c’è anche altro, spero. Nel tuo caso c’è, lo leggo. Del resto si vive e poi si racconta, da sempre. A volte la verità, altre volte la bugia o, meglio ancora, la fantasia. Se quello che racconti raggiunge più persone anche grazie a Twitter, allora va bene. E mi riferisco a quello che racconti tu, Elena, perché lo sai fare. Vabbè. La pianto qui. Silvano C.

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  2. A costo di crearti imbarazzo e di perdere amici ti dico che sei tu uno dei tanti che ringrazio anche se uno dei pochi, se non l'unico, che nonostante le "parole": ti seguirò, ti rituitterò e bla bla bla... mi abbia veramente sostenuto con l'azione. Detto ciò ho premesso che io ho bisogno di twitter come MEZZO per farmi conoscere. Ma insisto sul fatto che siamo ostaggio di questa maledetta visibilità perché di fatto ciò che regolava l'arte, il teatro, la musica e la scrittura, è crollato. Le "regole", le "tecniche" e l'esperienza, per non parlare del talento, sono state soppiantate dal carattere: dalla faccia di culo. Più sei spregiudicato e presuntuoso più andrai avanti. Il gioco è soltanto questo. Lo sai quanto me che il medio alzato, oggi val più di qualunque poesia. Detto questo resta il fatto che sono una donna di cuore, e il cuore percepisce tutto ciò che effimero come un'offesa. I social sono un mezzo superficiale che ben si adatta a quest'epoca in cui l'apparire conta più che essere. ;) Come sempre grazie, Silvano. ;)

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  3. In queste settimane che non ti ho letto (tu puoi dire quello che vuoi ) io ero triste. Lucky

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  4. Buongiorno Elena, se Twitter ti è utile per la tua attività non ho nulla da eccepire! Ma spero che Twitter non cominci a erodere pian piano la tua serenità. Non so se la serenità sia un bene oppure un male per una scrittrice, a volte l’irrequietezza, che il mondo contemporaneo ci sobbarca, ci rende più creativi, ma solo chi ha più consapevolezza riesce a trarne un vantaggio...e io mi fido della tua consapevolezza! Ti abbraccio e ti saluto, vado la Mercato di Piazza Vittorio a trovare qualche altro entusiasmante libro ingiallito e impolverato. Francesco

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  5. Non avevo dubbi. Sarà bello ritrovarti. :)

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