M. era un regista. Un regista di buon calibro e in possesso di una certa dose di ironia che ben nascondeva paure, insicurezze infantili e compulsioni.
Se per intellettuale intendiamo chi abbia una cultura forte, grande capacità di parola e di analisi, posso affermare con certezza che M. era un intellettuale. Un intellettuale un po’ “gigione”, come si dice in gergo per indicare l’attore che ammicca verso il pubblico, che tira l’applauso anche forzando la battuta e che ama trattenersi sul palco il più a lungo possibile, soprattutto in proscenio, per gli applausi. L’avevo sedotto per ottenere un bel ruolo in un dramma, uno Strindberg tenebroso e lentissimo che fu invece assegnato a una bruna algida.
M. nascondeva i suoi sessant’anni in un corpo pingue ma agilissimo e in una faccia tonda un po’ clownesca. Non aveva particolari vezzi, a parte quello di rendere il proprio interlocutore il centro del mondo e dell’universo.
La sua forza si propagava dal palco per arrivare fino all’ultima poltroncina in galleria mentre la sua sensualità, infiammava lo sguardo di chiunque lo ascoltasse recitare. O parlare.
È la magia del teatro, questa entità astratta, che riunisce attorno a un tavolino solitudini piene di contraddizioni e ipocrisie, che analizzano e rendono credibili altre umanità, ugualmente poco chiare e interpretabili in mille modi diversi.
M. parlava a ognuno con il linguaggio più congeniale. Con molti era carezzevole come il velluto del sipario, con altri, me compresa, era ruvido come le tavole del palcoscenico.
Poiché attrice giovane, e sempre nel rispetto della tradizione teatrale, io ero quella da educare.
Così, M. iniziò la sua opera di diminuzione del mio già fragilissimo “io” dandomi il ruolo di aiuto regista senza paga. Tanto per tenermi di più accanto a sé, così mi aveva mormorato nel buio della platea passandomi la mano bollente tra le cosce, mi propose di aiutare l’attrezzista e infine: cortesemente sempre che per te non sia troppo oneroso, quello assai più umiliante di vivandiera.
La paga per tutta questa fatica era essere l’amante di M., ossia vitto gratis nelle osterie più alla moda del centro, ingressi in tutti i teatri della capitale, contatti con attori e registi di grido.
Mai stanco di montare spettacoli, M. montava con una furia da ventenne qualsiasi donna gli capitasse a tiro, che se anche non fosse stata disponibile nell’immediato, si sarebbe arresa al suo divano in poche ore e soltanto perché sfiancata e ormai debole, schiacciata e ormai prona davanti alla sua dialettica circense.
Io restavo a guardare, in senso metaforico, e a fare la guardia al suo preziosissimo attico con vista sui fori imperiali.
M. aveva una fantasia sessuale fuori dal comune.
La sua perversione consisteva prendermi con con foga mentre interpretavo un ruolo possibilmente drammatico, meglio se al culmine della scena. Mi domandava di recitare –orgasmo compreso-, spesso proprio in teatro, magari dopo la prova, meglio se sotto i riflettori, auspicabile se con un po’ di pubblico, perfetto se davanti al macchinista o al direttore di scena.
Da brava allieva facevo l’impossibile per mostrargli talento e capacità interpretative, che M. commentava in seguito, prendendomi per strada, in piena notte, nella speranza che qualcuno ci vedesse, e che qualcuno, se possibile, gli domandasse di partecipare al banchetto di cui M. non sembrava mai sazio.
Mi domandava di servirlo anche durante le cene a casa sua –ti prego, dai, vieni solo un attimo di là-, per tornare poi dai suoi ospiti, spettinato e con l’espressione soddisfatta.
Nonostante il mio possibile talento si fosse trasformato agli occhi di molti addetti ai lavori in qualcosa di più prosaico, amavo M. di un amore sempre più profondo. Disperato e stupido.
Assecondavo quell’urgenza egoista in ogni modo: per paura che mi lasciasse, che lui non fosse più il mio posto giusto.
Era sempre all’erta, mai fiacco, nemmeno dopo un estenuante viaggio in auto dal Piccolo al Biondo con debutto in serata.
Dormiva niente ma era sempre lucido. Se in piena notte gli avessi domandato i nomi dei protagonisti di tutto l’Ubu Re e per ordine di battuta, lui me li avrebbe elencati senza sforzo, anche dopo una cena bagnata da abbondante vino. Salvo poi, una volta sveglio, doverlo ascoltare chiacchierare di massimi sistemi, del prossimo spettacolo, o dell’etimologia dei fiori, passione nata dopo la regia di un Lorca.
Così gli perdonavo tutto. Anche le altre, tante e invisibili, erano parte integrante di quel contratto che significava abnegazione e totale dedizione al Maestro.
Come non restare in ginocchio, in proscenio, alla luce fioca della lampadina da lettura a pendere dalle sue labbra che seguivano linee morbide, che tracciavano caratteri irrequieti o allegri, bonari ma con un pizzico di alterigia e sarcasmo. Come evitare di seguire il suo sguardo che raccoglieva l’immagine da ridare, il più possibile integra, nella battuta. La sua voce, che si piegava per poi impennarsi in uno scatto d’ira che aveva già in sé l’ombra del pentimento. Le mani, che gli si allungavano e dimagrivano nella tensione del gesto misurato ma forte. I passi, sempre motivati, mai casuali o timidi.
M. era per me un grande cono gelato dal gusto deciso e il retrogusto ambiguo. Era cioccolato fondente unito a gelso bianco con una punta di amarena. M. era il mio ottovolante, che più lo guardavo, più non resistevo a saltarci sopra, selvaggia o languida, impaurita ed eccitata al tempo stesso.
M. era un prestigiatore e un incantatore di serpenti.
Le ore di lavoro estenuante che passavo con lui erano legati alla rivelazione di un segreto, o di un trucco.
È la magia del teatro e di chiunque ci sta dentro fino al collo. La nevrosi che andrebbe curata s’incancrenisce e cresce, infine si esalta, diventando un pregio.
E davanti a un Maestro o si è servo o si è suo pari.
Io fui la sua serva finché un giorno, uscita dall’ingresso degli artisti, non vi feci più ritorno. Ricordo che era il giorno della prova generale. Fuori pioveva.
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Porca miseria! Questo M. mi ricorda molto il mio regista di teatro amatoriale che per anni è stato mio esclusivo mentore.... come è piccolo il palco... ;)
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