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sabato 1 gennaio 2011

Teresa e il tempo che passa.

- così mai…così quasi mai…così sempre!-
E Teresa muove gli avambracci sottili e pieni di pendagli avanti e indietro sul bordo della tavola mostrandomi come, secondo la basilare buona educazione italica, vadano tenute le mani mentre si mangia.


E, mentre il bambino over five del tavolo accanto inzuppa indisturbato la pizza nel boccale di birra del padre, Teresa continua come in un mantra a ripetere -che modi…-
Ed è proprio durante le feste, a ridosso del capodanno, che Terry sente forte e presente il morso della nostalgia, che sente palpabile la distanza da un tempo ancora carico di buone maniere e di gesti simbolici.
Sua nonna, una donna altera dallo sguardo azzurro ghiaccio vestita Chanel, le ripeteva la stessa solfa ogni domenica e, dopo pranzo, mentre i cugini si scatenavano in giochi arditi, Teresa restava con lei ad apprendere le basi del vivere civile e, come si diceva allora, borghese.
Una pila di libri sulla testa, Terry, con grande soddisfazione della nonna dal nome floreale,  profumata Dior, passeggiava su e giù per il salone di casa, dritta come un fuso e gesticolando appena.
Ma non bastava. Per l’educazione di Teresa, la nipote più bella, seppur troppo minuta secondo i canoni di bellezza della nonna educata in un collegio svizzero, furono istituite lunghe sessioni al tavolo da tè, a quello da bridge, e la lettura settimanale di almeno un capitolo del libro delle ricette di cucina regionali.
Altre lezioni consistevano nell’imparare ad apparecchiare la tavola -conservando stretta la speranza di non doverlo mai fare in prima persona-, nella conversazione e nell’apprendimento dei differenti saluti. E quella fu per lei la più importante fra le lezioni: capire che alla base dei rapporti umani esiste una gerarchia dovuta in primo luogo al sesso e infine all’età.
E la piccola Teresa, i capelli rossi stretti in due spesse trecce, immaginava uomini di ogni fattezza, età e classe sociale avvicinarsi al suo tavolo e mutare espressione al solo vederla.
La scelta del corredo, poi, fu per la mia “rossa” amica che adesso raccontava felice di quel bon ton dimenticato, il modo perfetto per imparare tutto sui tessuti, i pizzi, gli orli, la giusta dimensione delle cifre da ricamare, il modo per piegare e riporre la biancheria di casa nei bauli e in valigia.
E fu così che la nonna dagli occhi di ghiaccio, che camminava come un uomo e di un uomo aveva la forza, aprì a Teresa le porte della raffinatezza mostrandole i bauli di famiglia e le storie che essi contenevano.
E da allora, da quella domenica di novembre piovosa e triste, iniziò la narrazione dei segreti delle donne, delle trame ordite per spezzare o favorire unioni, dei trucchi per tenersi un uomo. E tutte le storie finivano con un lungo bacio e un arrivederci, e tutte parlavano di promesse e lunghe assenze, di rossori e pudori infantili, come l’impegno del nonno Riccardo che, per un intero anno, si presentò alla stessa ora davanti alla sua porta, in attesa che qualcuno finalmente gli aprisse.
E il portacipria d’argento, e il pettinino di osso, e le piccole foto abbracciate a minuscole treccine, a nastrini di raso mangiati dal tempo, fragili come ostie e come ostie pieni di una sacralità senza tempo, legata alle radici e al sangue.

-Perché ti racconto questo?-
E prende tempo facendo cadere il tovagliolo e fingendo di raccoglierlo e, voltandosi in qua e in là come in cerca di qualcuno, Teresa asciuga una grossa lacrima che rapida solca il bordo del suo viso rotondo.
Si sa, è la nostalgia, dice guardandomi appena, o forse la consapevolezza che tutto passa e se ne va o forse, e qui sorride un poco, è solo raffreddore...

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