Laura gli porse la carta da lettere e scomparve silenziosa.
Il Professore detestava scrivere al computer, lo faceva solo per gli articoli e le pubblicazioni, che comunque dettava, ma per le lettere e i messaggi personali continuava a usare la carta, quella con le sue tre iniziali in alto a destra, colore su colore.
Fino a un anno prima era Marina a occuparsene ed era suo anche il compito di riempire le stilografiche con i diversi inchiostri.
Pose il foglio sul tappetino di pelle e ci passò un paio di volte il palmo della mano, come per assicurarsi che non avesse pieghe, perché le parole non vi si nascondessero, esiliate in un punto invisibile di quella carta raffinata e sottile.
Si mise a contemplare l’ordine che regnava sulla scrivania in attesa del giusto incipit e, quando la frase compiuta si formò nella sua mente, svitò con calma la penna che a un suo ordine solcò il foglio appena ruvido.
- “Promenade”, ricordo bene quel quadro, Marina, ricordo anche che fuori pioveva, che tu avevi un abito rosso e che ti dissi che avrei voluto fissare quell’istante nella mia memoria, per sempre-.
E si mise di nuovo a vagare con lo sguardo altrove e con la mente ancora più lontano.
Faceva caldo, c’era un’afa insopportabile quando la vide per la prima volta alcuni mesi prima del colloquio di lavoro.
In realtà aveva deciso di presenziare all’evento solo un giorno prima, le implicazioni sociologiche dei social network non facevano parte della sua sfera di interesse ma si convinse che forse c’era un motivo diverso per essere lì.
Marina lo conosceva da tempo, aveva studiato sui suoi libri e di lui possedeva anche i saggi introvabili, quelli che aveva scritto in Germania durante gli anni di specializzazione. Ma lei non lo vide, al contrario di Davide che rimase colpito dalla forza con cui la donna metteva in discussione la teoria del relatore, dalla chiarezza delle sue argomentazioni, dalla profonda ironia che permeava il suo ragionamento.
E quando tempo dopo se la ritrovò in studio, smarrita, improvvisamente fragile, decise di sperimentare su di lei qualcosa che nemmeno lui aveva ben chiaro in mente e che, solo adesso, riconosceva come un banale gioco di seduzione, una prova di forza e nulla più.
Non la chiamava in piena notte domandandole particolari intimi, non parlava un linguaggio osceno e non si dava da fare usando quelle immagini per il suo piacere carnale ma, ogni giorno, la provocava attraverso gesti invisibili, brevi occhiate, parole a un primo ascolto prive di peso. Sapeva che lei avrebbe colto quelle provocazioni, visto il potere che già esercitava su di lei, e sapeva anche che lui le avrebbe negate, ogni giorno.
Infatti un pomeriggio di Novembre le disse che quella reciproca attrazione non andava assecondata, che sarebbe stato pericoloso per entrambi, che era stanco, vecchio, che voleva riprendere la relazione con sua moglie e senza finzioni.
In basso, la donna nel suo abito bianco e nero dall’aria retrò lo aveva guardato.
Ti dispiace molto vero?-
Lei fu rapida nella risposta e si sentì anche sollevata, almeno in quel momento, visto che la relazione con un uomo di quel tipo le era parsa da subito troppo impegnativa seppur così seducente.
Non aveva mai conosciuto un uomo tanto egocentrico, autoreferenziale e innamorato di se stesso e delle proprie idee da disinteressarsi di quanto gli accadeva intorno. Così poco sensibile da ferirla di continuo.
In realtà non sapeva che quel negarsi non era che l’inizio di un gioco al massacro, evitabile.
Davide scosse la testa un paio di volte e si diede dell’idiota.
Perché una volta compresa la pericolosità di quella partita a due non l’aveva interrotta. Perché non riusciva più a dominare il piacere che provava nello scorgere in lei quell’espressione di dolore diffuso.
- Sei tu che sei andata oltre, che hai voluto vedere ciò che non c’era.
Non pensavo che un’amicizia potesse essere fraintesa. Stimo molto la tua intelligenza e so che capirai-.
Si alzò dalla scrivania e senza rileggere quelle poche righe affatto convincenti strinse il foglio in un pugno e lo lanciò nel cestino.
Davide sentiva chiaramente l’odore putrescente di cui parlava Marina: la fiamma che aveva reso arido il suo cuore bruciava ancora.
Ma sapeva bene che, una volta consumata, quella passione si sarebbe comunque risolta nella noia, nel già visto, in qualcosa di veramente triste, nel solito addio doloroso, molto più doloroso della rinuncia al desiderio che di giorno in giorno cresceva anziché spegnersi.
Doveva scriverle qualcosa.
Erano troppe settimane che intorno a lei si era fatto silenzio.
Il Professore detestava scrivere al computer, lo faceva solo per gli articoli e le pubblicazioni, che comunque dettava, ma per le lettere e i messaggi personali continuava a usare la carta, quella con le sue tre iniziali in alto a destra, colore su colore.
Fino a un anno prima era Marina a occuparsene ed era suo anche il compito di riempire le stilografiche con i diversi inchiostri.
Pose il foglio sul tappetino di pelle e ci passò un paio di volte il palmo della mano, come per assicurarsi che non avesse pieghe, perché le parole non vi si nascondessero, esiliate in un punto invisibile di quella carta raffinata e sottile.
Si mise a contemplare l’ordine che regnava sulla scrivania in attesa del giusto incipit e, quando la frase compiuta si formò nella sua mente, svitò con calma la penna che a un suo ordine solcò il foglio appena ruvido.
- “Promenade”, ricordo bene quel quadro, Marina, ricordo anche che fuori pioveva, che tu avevi un abito rosso e che ti dissi che avrei voluto fissare quell’istante nella mia memoria, per sempre-.
E si mise di nuovo a vagare con lo sguardo altrove e con la mente ancora più lontano.
Faceva caldo, c’era un’afa insopportabile quando la vide per la prima volta alcuni mesi prima del colloquio di lavoro.
In realtà aveva deciso di presenziare all’evento solo un giorno prima, le implicazioni sociologiche dei social network non facevano parte della sua sfera di interesse ma si convinse che forse c’era un motivo diverso per essere lì.
Marina lo conosceva da tempo, aveva studiato sui suoi libri e di lui possedeva anche i saggi introvabili, quelli che aveva scritto in Germania durante gli anni di specializzazione. Ma lei non lo vide, al contrario di Davide che rimase colpito dalla forza con cui la donna metteva in discussione la teoria del relatore, dalla chiarezza delle sue argomentazioni, dalla profonda ironia che permeava il suo ragionamento.
E quando tempo dopo se la ritrovò in studio, smarrita, improvvisamente fragile, decise di sperimentare su di lei qualcosa che nemmeno lui aveva ben chiaro in mente e che, solo adesso, riconosceva come un banale gioco di seduzione, una prova di forza e nulla più.
Non la chiamava in piena notte domandandole particolari intimi, non parlava un linguaggio osceno e non si dava da fare usando quelle immagini per il suo piacere carnale ma, ogni giorno, la provocava attraverso gesti invisibili, brevi occhiate, parole a un primo ascolto prive di peso. Sapeva che lei avrebbe colto quelle provocazioni, visto il potere che già esercitava su di lei, e sapeva anche che lui le avrebbe negate, ogni giorno.
Infatti un pomeriggio di Novembre le disse che quella reciproca attrazione non andava assecondata, che sarebbe stato pericoloso per entrambi, che era stanco, vecchio, che voleva riprendere la relazione con sua moglie e senza finzioni.
In basso, la donna nel suo abito bianco e nero dall’aria retrò lo aveva guardato.
Ti dispiace molto vero?-
Lei fu rapida nella risposta e si sentì anche sollevata, almeno in quel momento, visto che la relazione con un uomo di quel tipo le era parsa da subito troppo impegnativa seppur così seducente.
Non aveva mai conosciuto un uomo tanto egocentrico, autoreferenziale e innamorato di se stesso e delle proprie idee da disinteressarsi di quanto gli accadeva intorno. Così poco sensibile da ferirla di continuo.
In realtà non sapeva che quel negarsi non era che l’inizio di un gioco al massacro, evitabile.
Davide scosse la testa un paio di volte e si diede dell’idiota.
Perché una volta compresa la pericolosità di quella partita a due non l’aveva interrotta. Perché non riusciva più a dominare il piacere che provava nello scorgere in lei quell’espressione di dolore diffuso.
- Sei tu che sei andata oltre, che hai voluto vedere ciò che non c’era.
Non pensavo che un’amicizia potesse essere fraintesa. Stimo molto la tua intelligenza e so che capirai-.
Si alzò dalla scrivania e senza rileggere quelle poche righe affatto convincenti strinse il foglio in un pugno e lo lanciò nel cestino.
Davide sentiva chiaramente l’odore putrescente di cui parlava Marina: la fiamma che aveva reso arido il suo cuore bruciava ancora.
Ma sapeva bene che, una volta consumata, quella passione si sarebbe comunque risolta nella noia, nel già visto, in qualcosa di veramente triste, nel solito addio doloroso, molto più doloroso della rinuncia al desiderio che di giorno in giorno cresceva anziché spegnersi.
Doveva scriverle qualcosa.
Erano troppe settimane che intorno a lei si era fatto silenzio.
Nessun commento:
Posta un commento