domenica 12 giugno 2011
Le cose
Da oggi ho una vera scrivania su cui lavorare e ora sto seduta, finalmente comoda, su una poltrona ergonomica e stabile.
Anche il mio Buddha da oggi non traballa più, e lo guardo dalla posizione più giusta: il sottile tavolino di bambù con sopra la campana grande, dal suono ampio, grave, come la mia voce, fiori e rami di eucalipto ai lati.
Il letto è ora rivolto verso il punto cardinale giusto, così il sangue circola meglio, le idee fluiscono e i sogni, forse, si faranno vita vera. Profuma di paglia e di riso il mio tatami e il futon è quello giusto per la mia schiena, quello che va bene per rotolarcisi sopra e farci tutte le cose che mi piacciono tanto. Il Feng Shui raccomanda che nessuno specchio rifletta il letto, si rischia che la coppia raddoppi. L’ho fatto per vent’anni, come una cretina per anni ho rispettato la tradizione e non è servito a niente, stavolta ne ho appesi cinque, così avrò ampia scelta.
Le campane tubolari suonano al primo accenno di vento che qui al mare non è raro.
Adesso il mio studio è in ombra, alzando lo sguardo non vedo più i colori di prima ma sento il canto degli stessi uccelli notturni e del mare e poi, qui c’è mio padre che mi guarda da una cornice da due lire, ma non importa, l’importante è che sorrida seduto in quello scompartimento assolato, mentre viaggia verso Nizza un mattino di una vita fa.
Sul terrazzino di questa stanza non c’è abbastanza luce per le piante che amo, per i cactus dai fiori fucsia e l’aloe che mi rallegra con l'arancione. Cercherò felci interessanti, piante d’aria che sembrano testoline spettinate, che fanno figli di continuo.
Da oggi ho tutti i miei libri accanto, sulla sinistra, dalla parte del cuore. Li ho riposti un po’ a casaccio e ho sofferto per non averli aperti, non aver scorso qua e là un paragrafo, tre righe appena.
Da qui vedo L’educazione sentimentale e la Cerosa di Parma, Il diario di Sally Mara e Lo scherzo. Vedo Il Teatro di Corneille, Nostra Signora dei turchi, Il Candido. Sì, non hanno un ordine e poi sono troppi i volumi che vorrei accanto, davanti, quelli che vorrei prendere allungando appena il braccio.
È troppo tempo che non tocco la mia vita, le cose importanti che mi porto dietro da sempre, e sono emozionata, felice.
Nella scatola di latta, quella azzurra che bambina usavo per i giochi e adolescente per i rossetti, ora è perfetta per il lucido da scarpa e le spazzoline di varie misure, per le lettere d’amore ormai è troppo piccola e poi, si usa l’e mail. Di certe storie non resterà più traccia e nemmeno di chi le ha scritte, digitate; fra duecento anni non si saprà nulla della personalità dei due o più amanti, della loro cultura, omologati anche nelle capacità espressive, nei mezzi, nel tratto per tutti uguale: Times di solito, Helvetica per i più originali.
Nei cartoni che puzzano di container e di carta di giornale e di polvere, ho ritrovato anche la statuetta di Shiva intagliata a mano -regalo inaspettato da un uomo creduto lontano- sta bene lì, accanto al comodino ottocento della nonna, in contrasto, come le campane, intonate invece ai miei stati d’animo.
E anche gli incensi, e i diffusori, e le essenze hanno trovato il loro posto, così come la piuma di fagiano che mia sorella mi ha regalato nella campagna del Kent, assieme a uno sguardo aperto, e all’augurio di una vita felice.
I giochi, i miei dadi magici e le carte francesi hanno raggiunto le sue fiches collezionate per mesi in vista di un poker che non abbiamo organizzato mai.
La rosa di Gerico -che sadicamente non ho mai immerso nell’acqua- mi guarda da un piccolo cassetto dello scrittoio, domani la lascerò rivivere per poche ore prima che si secchi di nuovo, in attesa di un mio gesto di pietà.
Gli specchi, in cui mi guardo di tanto in tanto mentre scrivo, quello inglese con la cornice di rame, il piccolo portacipria che mi regalò Celeste sulla sinistra. Alle mie spalle, in alto, il ritratto che mi fece Valeria a casa di nonna, nei rari momenti in cui dormiva, in cui non rivolgeva gli occhi al cielo pregando il suo cuore forte di abbandonarla una volta per tutte.
Le cartoline delle mostre, De Chirico finalmente a vista, Matisse.
Le candele colorate, tante, che misurano da sempre il tempo del mio amore.
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Bella pagina. Le nostre case sono piene di queste tracce che potrebbero parlarci se solo ci dessimo la pena di dar loro retta; poi càpita che proviamo a ridare un ordine, magari per un trasloco, e ritroviamo tutti questi pezzi, e ne ripeschiamo il senso, o forse "un" senso (non più quello che credevamo di sapere), anche per ragioni affettive-sentimentali-biografiche.
RispondiEliminaE lega bene con la suggestione dechirichiana dell'immagine.
vero? De Chirico è adattissimo a parlarci di legami inconsci con la casa e gli oggetti. Grazie Ivan.
RispondiEliminaOgnuno di noi vorrebbe un angolo per sè dove riporre i pensieri e i sogni, gli amici del cuore (i libri) e i pezzi di vita (i ricordi) ... descrizione di una casa che palpita all'unisono con il tuo cuore ...
RispondiEliminaciao "tomda”, vero, grazie, questo pezzo lo tiro fuori quando mi sento alle strette e il mondo mi distrae dal fulcro della mia vita.
RispondiEliminabuona giornata e benvenuto/a nel Bibolotty moments.
Amo la metafisica.E tu sei una ''tacca sopra''Elena.
RispondiEliminatroppa grazia a Sant'antonio... diceva mio padre quando il piacere (non in senso sessuale, anche se lo amavo non ci sarei mai arrivata) andava oltre le sue aspettative...
RispondiEliminaLo scherzo di kundera... Libro bellissimo e impietoso, crudele... Cosa ti porta in questi esilii della memoria?
RispondiEliminasolo il ridare un posto alle mie cose che in un momento in cui volevo andare a vivere altrove avevo chiuso in un container. ;)
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